David Lazzaretti, il racconto della vita le parole del “profeta” di Lucio Niccolai

TITOLO:
David Lazzaretti,
il racconto della vita le parole del “profeta”

AUTORE: Lucio Niccolai

 

FORMATO: brossura
PAGINE: 180
COLLANA: Archivi riemersi
ISBN: 978 88 89836 14 8
ANNO DI PUBBLICAZIONE: 2006

PREZZO: euro 13.00

Scheda del libro

Erano gli anni in cui le vicende risorgimentali italiane avevano da poco vissuto gli episodi di maggiore momento quando uno strano personaggio di Arcidosso, un uomo magro dal volto emaciato, con i capelli radi e la barba folta, passava per essere un profeta visionario, dotato di notevoli qualità carismatiche e di un talento narrativo molto efficace. Inconsapevolmente (forse) stava tessendo la trama di una storia personale che avrebbe lasciato un’impronta indelebile sul suo territorio di origine (e non solo), tanto da far parlare (e scrivere) di sé ancora oggi.

Nel 2004, per dire, il raffinatissimo chitarrista bop bolognese Jimmi Villotti, che era con Paolo Conte in tournee ai tempi della Verde Milonga, ha pubblicato un album intitolato “In memoria di David Lazzaretti”. Solo per citare un altro piccolo esempio, risale allo scorso febbraio un lungo pezzo (“Il socialismo del profeta David”) pubblicato sulle colonne de Il sole 24 ore scritto da Andrea Romano. Ma l’elenco delle menzioni che la memoria sulla vicenda lazzarettiana ha raccolto nel corso degli anni è sterminato e va a intersecare gli ambienti più diversi.

Per quel che mi riguarda ho sentito nominare David Lazzaretti per la prima volta nel romanzo di un analista finanziario romano con l’hobby della narrativa di genere e della controinformazione senza filtro. Un autore esperto di economia, dunque, del quale avevo da poco scoperto l’abilità di scrutare gli orizzonti della storia, tanto da aver previsto, con largo anticipo e inascoltato, la tempesta finanziaria ed economica che da alcuni anni non smette di  perseguitare le economie occidentali. Lo pseudonimo con cui si firmava era Sbancor ma il suo nome era Franco Lattanzi; è scomparso nell’aprile del 2008.

Gli ultimi scampoli d’estate (nel primo pomeriggio di quel famigerato 11 settembre 2001) se li stava godendo a Talamone, lasciando vagare gli occhi e i pensieri:

“[…] Guardai quella linea sfocata che divideva cielo e mare. Un leggero vento piegava dolcemente verso Sud, fra la punta dell’Argentario e l’Isola del Giglio. Montecristo ora era solo un’ombra lontana. Più in là Corsica e l’Elba.

Invisibili, ma sicuramente al loro posto. Sono al sicuro su questo scoglio. Lo chiamano il “Bagno delle Donne”, nome che riporta a quei pruriti del tardo cattolicesimo ottocentesco, dove l’erotismo si concentrava al massimo su una caviglia, e uomini e donne non potevano, insieme, godere del mare. Altri, e meno casti, godimenti avvenivano, come sempre stato e sarà, nel privato. Le nuvole all’orizzonte minacciavano pioggia. Domani. Prima deve girare a Scirocco.

Mi piaceva questo mare ottocentesco, dove Dumas aspettò Garibaldi con il carico di fucili che sarebbero serviti a Calatafimi. Qui nell’Ottocento c’erano paludi selvagge piene d’uccelli e di malaria. Bastava andare un po’ verso l’interno e si ritrovava quella Maremma amara di briganti, anarchici e contadini, secchi come scheletri, che tremavano di febbre. Su una montagna, che si vedeva bruna in lontananza, era morto David Lazzaretti, “il Cristo dell’Amiata”. Fondatore del movimento giurisdavidico, forse l’ultimo di quegli eretici contadini che per quattrocento anni avevano corso l’Europa rimandando di casolare in casolare il verbo “anabattista”. Omnia sunt communia! Mistici comunisti, assai diversi dagli odierni D’Alema, Veltroni, Folena e giù, giù degenerando. Lazzaretti scendeva la montagna con i capelli lunghi, una veste bianca, salmodiando, mentre i bersaglieri di Sua Maestà il Re d’Italia sparavano. Sembrava non sentire i colpi e il rosso sangue che scendeva sulla sua veste. I bersaglieri sparavano ma avevano paura. Poi cadde a terra, morto. Ma per un istante sembrò che il miracolo si compisse e lui continuasse a scendere predicando dalla montagna la rivolta delle plebi. Vecchi tempi. […]”

(da American NightmareDal momento che è probabile che sia fuori catalogo da un pezzo, per i più volenterosi  segnalo l’opportunità di consultarlo direttamente su schermo, qui)

Ma chi era David Lazzaretti? La domanda non è semplicissima ma la storia (e la vita) che le sta dietro è fra le più singolari. Lo si capisce molto bene leggendo il bellissimo volume scritto da Lucio Niccolai (e pubblicato da Effigi nel 2006) dal titolo David Lazzaretti – Il racconto della vita, le parole del “profeta”.

Il libro alterna una narrazione succinta della biografia lazzarettiana ai racconti autografi delle visioni che hanno scandito la vicenda terrena di questo scomodo eretico amiatino. Nella premessa si afferma che la bibliografia su Lazzaretti è ampia ma che molti dei testi fondamentali continuano ad essere inediti e dunque introvabili da lungo tempo. Si tratta però di un argomento (e di una storia) allo stesso tempo molto importante e molto interessante; l’auspicio, dunque, è che questi vecchi testi dal sicuro valore conoscitivo (ma dall’altrettanto certa insostenibilità commerciale) possano essere raccolti e ripubblicati almeno in versione elettronica (ebook) in modo da non implicare uno sforzo economico rilevante e da assicurarne l’immediata reperibilità, la disponibilità illimitata e il costo contenuto.

Ecco Lucio Niccolai nella premessa:

“[…] Questo libro (iniziato sul Monte Labbro nel giugno 2005 e terminato a Istanbul nel settembre 2006) non nasce dalla necessità di scrivere un nuovo capitolo della già fin troppo ampia biografia lazzarettiana, quanto, piuttosto, dal bisogno di dare una risposta editoriale alla domanda sempre presente di strumenti di informazione e di conoscenza sulla vicenda lazzarettista, fornendo una narrazione essenziale e sintetica della vita di David e, nel contempo, offrendo la possibilità al lettore di confrontarsi direttamente con dei suoi testi che, in molti casi, risultano belli e sempre suggestivi. […]”

Non semplicemente una biografia, dunque. Ma per farsi almeno un’idea sommaria su chi fosse l’oggetto della pubblicazione conviene gettare uno sguardo sulla relativa voce dell’enciclopedia Treccani online:

Predicatore religioso (Arcidosso 1834 – ivi 1878); di mestiere barrocciaio, fondatore e capo d’un movimento penitenziale e ascetico, su base familiare solidaristica (“Congregazione degli eremiti, penitenzieri e penitenti”; “Società delle famiglie cristiane”, formata da 80 famiglie che misero in comune beni e lavoro), e animato da attese millenaristiche. Nel 1878 il movimento, che aveva il suo centro principale sul Monte Labbro (a sud-ovest dell’Amiata), fu condannato dalla Chiesa, e il 18 agosto dello stesso anno L., che nel frattempo si era proclamato seconda incarnazione di Cristo, fu ucciso dalla forza pubblica alle porte di Arcidosso, mentre scendeva dal Monte Labbro alla testa di una numerosa processione di pacifici seguaci del suo movimento. La setta da lui fondata, detta dei giurisdavidici, ha tuttora alcuni fedeli nella regione dell’Amiata.

Sempre sul portale Treccani (nel dizionario biografico degli italiani) è possibile leggere un racconto biografico un po’ più ampio ed esaustivo ad opera di Francesco Pitocco e dotato inoltre di bibliografia. Infine Wikipedia, anche qui con bibliografia sull’argomento.

Il libro di Niccolai fa correre in parallelo le due linee narrative della vicenda lazzarettiana, quella terrena e quella interiore, come una ferrovia: due piani che si alternano e si sorreggono l’un l’altro per tentare di tracciare le direttrici di una personalità tanto complessa e sfaccettata. E’ il percorso che porterà un barrocciaio di Arcidosso a diventare un mistico di respiro europeo, e a inserirsi in quel complicato milieu religioso (dalla ortodossia molto zoppicante) ma anche esoterico che ha caratterizzato la Francia del tardo ottocento.

Ambienti e suggestioni che, in particolar modo negli ultimi anni, hanno solleticato la creatività di parecchi scrittori: per farsi un’idea della straripante vivacità spiritualistica attribuita a quel periodo (fra mistici, iniziati e comparse) ci si potrebbe costruire una piccola biblioteca a cominciare da Umberto Eco con il suo Cimitero di Praga.

E, appunto, è proprio l’abilità di scrittore di David Lazzaretti che colpisce nella maniera più diretta chi si avvicina a questo libro: il racconto autografo delle visioni che hanno scandito le tappe fondamentali della sua esistenza trabocca di talento immaginifico: le apparizioni sono sconcertanti, i panorami in continuo tumulto, gli incontri carichi di mistero, le rivelazioni sorprendenti; a volte le storie descritte mettono in scena un meraviglioso che atterrisce per violenza dell’azione e cupezza scenografica. Ecco un estratto: l’esito di una lotta grandiosa e senza quartiere fra animali primordiali sulla riva di un mare in burrasca, dove alcune bestie mostruose osano sfidare un invincibile leone. Il tutto sotto quella particolare specie di eternità che costituisce l’ossatura del racconto mitologico. Ecco cosa scriveva Lazzaretti:

«[…]Allora si vede nuovamente uscire dai flutti del mare un orribile lupo marino la cui enorme bocca lasciava vedere due file di lunghi denti, i di cui muggiti facevano fremere fino alle ossa. Esso pure osa misurarsi col leone, ma esso prova la stessa sorte che le altre.

Quando il lupo marino cadeva in questa lotta gigantesca, si vide uscire dalla foresta una iena terribile. Essa comincia a mandar fuori urli acuti e a girare intorno al leone, che si guarda da ogni parte per non farsi sorprendere. Improvvisamente balza sopra il leone e lo prende pel collo.

L’invincibile animale scuotendosi con forza, si svelle dalla sua stretta e la getta a rovescio sulla sabbia distante da lui sei o sette piedi. La iena si rialza, e resa più feroce da questa disfatta, si slancia alla faccia del leone, ma questi le dà una zampata sulla testa e la stende cadavere accanto alle altre bestie feroci. La lunga durata del combattimento mi aveva fatto dubitare dell’esito finale dell’invincibile leone il quale infine rimase vittorioso di questi sei suoi terribili nemici.

Stanco per questa lunga lotta il leone, si sdraia sulla sabbia accanto alle sei vittime e si addormenta. Allora vidi distaccarsi dalla volta del cielo un raggio di luce simile all’arcobaleno: io la vidi risplendere sulla testa del leone addormentato, e formarvi un’abbagliante nuvola della sua chiarezza divina. Nello stesso momento dalle quattro parti principali del mondo si alza un vento così impetuoso che sembra voglia schiantare tutta la vicina foresta: alla fine questo vento si cangia in un uragano devastatore: esso comincia a sollevare la sabbia e si precipita là dove sono i sei cadaveri delle bestie feroci: in un colpo d’occhio li disperde traverso le acque e la sabbia. Cessa l’uragano, il leone si sveglia, si alza sopra la sabbia, e manda quattro ruggiti volgendosi sopra i quattro punti cardinali, e manda l’ultimo verso la parte d’Oriente.[…]»

Ma quali erano le fonti dalle quali il “profeta” attingeva per dare alimento alle sue visioni? Per sua stessa ammissione pare che abbia letto molto, in questo aiutato dal suo mestiere: da ragazzo i lunghi viaggi a cassetta sul suo barroccio gli permettevano di dedicarsi ai numerosi libri che via via, come racconta, si faceva prestare dai suoi conoscenti. Ma di quali opere si trattava? Quali sono stati i testi sui quali Lazzaretti si è formato intellettualmente e che hanno influenzato, almeno, la sua cifra narratologica? Proprio per sollevare questo interrogativo, l’ultima sezione del libro di Lucio Niccolai (attraverso la penna di Massimo Seriacopi) traccia la bozza di un’analisi testuale che nessuno ha ancora esposto in maniera esaustiva. Per quanto è dato sapere, uno studio puntuale e rigoroso sulla lingua lazzarettiana e sul repertorio di motivi letterari che hanno contraddistinto la sua produzione non è stato ancora fatto.

Non si tratta di operazione oziosa: è proprio grazie al suo linguaggio semplice, al suo continuo richiamarsi ad un repertorio di contenuti sacri o meno sacri sedimentato negli spiriti del suo uditorio popolare, al suo servirsi frequente di espedienti retorici quali la metafora, la metonimia o l’analogia per richiamare il vissuto quotidiano ed essere in questo modo immediatamente comprensibile e credibile alla gente cui si rivolgeva che Lazzaretti riuscì nell’impresa di raccogliere intorno a se un cospicuo numero di “fedeli” anelanti il suo “verbo”. Dunque scrittore abile, ma anche oratore accorto. Perfino conoscitore della psicologia delle masse a giudicare dal seguente stralcio tratto dal discorso che pronunciò (sul monte Labbro) il 13 aprile del 1869 davanti ad una folla di 180 persone :

«[…] Che devo dirvi di più? di più non posso come misera ed insensata creatura. Oh sì! vedo che alcuno sogghigna, e sento esclamare con atto di scherno e disprezzo, che il mio dire non è che una sorgente di spirito alienato con una espressione troppo presuntuosa ed esagerata; arrogandomi quello che a loro sembra troppo, per cui dicono che non può tornare in nessun modo, e su ciò prendono disputa insistendo nella loro pretesa opinione e vanno dicendo che non sono un essere da prendarmi in considerazione; e né tampoco è da prestar fede a quello che io dico.

Oh, per carità, fratelli, per carità non vi lasciate vincere da questi falsi credenti; fidatevi, vi prego, della mia parola, e per quanto sia possibile mettetela in pratica, e poi vedrete, se io erro nel mio insegnamento. Io non ho da farvi vedere il prodigioso, miei cari, ma in attestato della mia misteriosa Missione (se tal la volete), lo avete veduto e lo vedete da voi stessi, tanto nei vostri segni esterni, quanto negli interni.

Ma io dico che voi non potrete negare di non sentire nei vostri cuori una certa emozione che vi tiene agitato in buona parte il pensiero, e più di ogni altro, codesta emozione vi fa sentire una rimembranza del male operato e richiama la vostra coscienza al pentimento e all’ammenda di tutte le offese che abbiamo fatte alla santità celeste e alle nostre creature umane. Questo sentimento bisogna che io vi dica che addivenire non può che per divina misericordia. E che ciò sia così ve lo testificherò con le prove, anzi me ne darete voi stessi una chiarezza la più singolare. Quel cangiamento di vita di quelle persone le più intrise nel peccato, nel vizio, nella bestemmia ed eresia, che cosa ne dite? Rispondete.[…]»

Questo discorso avviene all’indomani della “svolta mistica” di Lazzaretti: da poco infatti aveva deciso di vendere barroccio e cavalli per dedicarsi completamente a quel “mistero” che era convinto gli appartenesse e che lo avrebbe accompagnato per il resto della sua breve vita (terminata, è bene ricordarlo, da una pallottola in piena fronte).

La prima visione adulta, quella avvenuta il 25 aprile 1868 all’età di 34 anni, lo aveva folgorato a tal punto da donargli la forza di condursi al cospetto del papa (che all’epoca era Pio IX) per:

«[…]raccontare la propria visione e avere da lui un conforto spirituale e un aiuto nella corretta interpretazione di quanto aveva visto e udito.[…]»

L’incontro col papa risulterà deludente ma, forse proprio per questo, sarà seguito da un molto fruttuoso (in termini di illuminazione) periodo di eremitaggio in una grotta nei pressi di Montorio Romano in compagnia di un (misteriosissimo) eremita tedesco di nome Ignazio Micus, originario della Westfalia:

«[…]Fu un periodo di privazioni estreme (si fece anche murare dal Micus dentro la grotta, in totale isolamento per 47 giorni, facendosi nutrire, attraverso un pertugio, di solo pane di granturco), contrassegnato da numerose visioni.[…]»

E’ proprio qui che Lazzaretti “capisce” di essere un discendente dei reali di Francia, grazie al ritrovamento, all’interno della grotta, di resti di ossa umane appartenenti, secondo uno dei personaggi di una sua visione, al suo sedicesimo avo. E forse sta qui il senso dei soggiorni francesi (nei pressi di Grenoble) che contraddistinsero gli ultimi anni di vita del predicatore amiatino.

E’ nella grotta laziale che avviene la visione che lo renderà consapevole di avere una “Missione” da portare avanti e dalla quale non gli sarà concesso abdicare pure se, gli viene comunicato, il contenuto di questo compito gli si farà via via più chiaro strada facendo. Ed è così che Lazzaretti tornerà dalla sua famiglia ad Arcidosso dopo il periodo di romitaggio per indossare le vesti del predicatore illuminato. E adesso che comincia la sua vera storia, un percorso che lo porterà a imboccare sentieri di riforma sociale declinata nel segno del cristianesimo delle origini, di ribellione pacifica sotto la bandiera rivoluzionaria della ridistribuzione, di consenso che si trasforma nella devozione di migliaia di fedeli entusiasti. Troverà finanziatori e altolocati devoti, agirà e sarà agito nel bel mezzo di una temperie politica grande e ramificata.

Il libro di Niccolai risulta essere dunque un racconto biografico molto ben costruito, che apre numerose nuove porte interpretative proprio perché attribuisce il compito di tracciare il disegno di una vita straordinaria alle stesse affascinanti parole dell’oggetto della biografia. Con questo rivendicando il ruolo essenziale di fonti originali troppo spesso passate in secondo piano. Un volume che risulta prezioso sia per chi di David Lazzaretti sa poco sia per chi ne ha letto molto.

[Qui è pubblicata (in video e trascrizione) una bella intervista all’autore a proposito di questo volume.]

Massimiliano Cavallo

 Edit (10 / 11 / 11):

Chi si trovasse a Milano fra la fine di febbraio e i primi di marzo prossimi potrebbe cogliere l’occasione per andare a teatro e assistere alla messa in scena della vicenda di David Lazzaretti. Al teatro Arsenale è infatti in cartellone uno spettacolo dal titolo Il profeta della Montagna, la storia di David Lazzaretti: santo, eretico, sovversivo.
Maggiori informazioni qui.

Commenti

2 commenti a “David Lazzaretti, il racconto della vita le parole del “profeta” di Lucio Niccolai”


  1. Riccardo ha detto:

    Lazzaretti è una figura davvero enigmatica e, aggiungerei, abbastanza scomoda. È una mia impressione o sulla sua vicenda ci sono aspetti poco chiari sui quali non c’è stata tutta questa voglia di far luce? Alla fine non mi sembra che la figura di questo profeta visionario sia sedimentata così a fondo nell’immaginario grossetano al quale invece dovrebbe appartenere. Non credi? Ah, ottimo articolo.

  2. Grazie Riccardo 🙂
    Bè, che dire? I libri ci sono… Sull’argomento non sono di sicuro un esperto però mi sono accorto che ci sono molte istanze che vanno a intrecciarsi nella sua vicenda: la politica è una di queste tanto che spesso si parla (credo di poter dire a sproposito) di Lazzaretti come primo comunista perché la cooperativa sociale che aveva messo su andava a gonfie vele praticando criteri ridistributivi. Sarei più d’accordo con Sbancor che lo legge come l’ultimo degli anabattisti, in un certo senso. Forse posseduto da un qualche demone commercialista, per qualche periodo. L’altra istanza è infatti quella religiosa: per un po’ la devozione di Lazzaretti è sembrata essere utile per bilanciare l’anticlericalismo imperante (anche in ambito rurale) all’indomani dell’unità d’Italia; tuttavia ben presto ci si rese conto che si trattava di una religiosità molto sui generis tanto che si finì per celebrare un famoso processo inquisitorio (oggetto di un altro bel libro di Lucio Niccolai di cui presto mi piacerebbe dire qualcosa) dove fu stabilito che si trattava di un pazzo.
    E poi c’è tutto l’aspetto del suo successo come predicatore, come comunicatore e persuasore non solo di contadini e poveri popolani ma anche di personaggi all’epoca noti, importanti e influenti che arrivarono ad aiutarlo e sostenerlo. A un certo punto a dare fastidio deve essere stata proprio la sua affidabilità molto approssimativa: in alcuni ambienti ci si sarebbe voluti giovare dell’ascendente che riusciva ad esercitare sugli uomini, tuttavia Lazzaretti non si sentiva di rendere conto ad altri che a se stesso o all’indirizzo che gli veniva indicato all’interno delle sue famose visioni.
    Un altro versante considerato, infine, è quello che lo vede al centro di trame esoteriche, non so fino a che punto degno di attenzione, però molto suggestivo.
    Probabilmente Lazzaretti fu un insieme di tutto questo, un’antenna o una spugna che metabolizzava dentro di sé in maniera profonda tutte le contraddizioni della sua epoca e poi, a modo suo, le rielaborava e le esprimeva.
    Comunque è vero, in generale non si tratta di una storia molto conosciuta, neanche a grandi linee: c’è un sacco di gente che non l’ha mai sentito nominare.
    Detto questo, credo che il presente blog sia invece frequentato da fior di conoscitori di queste faccende e spero che qualcuno di questi trovi qualche minuto di tempo per scrivere il suo punto di vista in proposito.

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