Venerdì santo

La terza gravidanza di Maria Anellini coniugata Pastacorta si presentò da subito più difficile delle precedenti. Un senso di malessere generale non la abbandonava mai e anche una certa inappetenza accompagnava le sue giornate. I due figli più grandi avevano preso benissimo la notizia. Avevano ormai dodici e undici anni, si sentivano grandi, il fratellino sarebbe stato sicuramente una gradevole presenza, qualcuno da proteggere. Marco Aurelio, dopo un primo momento di perplessità, condivideva la gioia dei suoi figli e, in cuor suo, si augurava che stavolta fosse una femmina, magari una bambina intelligente e assennata come la piccola Martina che per prima aveva intuito l’inattesa gravidanza.
L’unica assolutamente contrariata era la Draga. Agata Spilla vedova Pastacorta aveva vissuto come un affronto questo incredibile imprevisto. La famiglia era già completa e poi quella svanita di sua nuora già aveva problemi a educare due figli, figuriamoci col terzo. Sarebbe stato di sicuro un piccolo selvaggio. E, se per caso si fosse trattato di una femmina, peggio che mai. Certo, non sarebbe mai stata una bambina compita e cerimoniosa come l’adorata nipote che, non a caso, portava il suo stesso nome.
Così, dopo l’annuncio, nei confronti della nuora, aveva mostrato costantemente un atteggiamento di sfiducia, cosa che metteva Maria Anellini in totale confusione.
«Tesoro – le diceva Maria Sandrelli – non devi lasciarti condizionare da quella vecchia strega. È un dono bellissimo questo bambino e tu sei una mamma meravigliosa».
«Sì, Maria, lo so che tu mi vuoi bene ma, in fondo, mia suocera ha ragione: sono una persona poco organizzata e prova ne è il fatto che sto per avere il terzo figlio senza averci mai pensato»
«Maria – replicava l’altra ridendo – i figli non nascono perché qualcuno ci pensa! Anzi, forse proprio il contrario! Una volta tanto Marco Aurelio non ha pensato. E meno male!».
La Anellini, pur nel mezzo alle sue nausee, non poteva fare a meno di sorridere pensando al marito, per la prima volta spiazzato da un evento non programmato. Ora lo amava ancora di più, nei suoi magnifici occhi azzurri leggeva una dolcezza profonda e quasi ingenua fino ad allora sconosciuta. In questo senso sì, ne conveniva, l’arrivo di questa creatura era una benedizione che li univa.
I mesi passavano. Il Natale fu complicato dalla presenza dei cognati romani, il ginecologo e la nobildonna, ma soprattutto della piccola Agata, perennemente in litigio con i cugini. Inutile dire che la nonna era costantemente dalla parte della bambina, incredibilmente viziata e prepotente. Era pur vero – pensava Maria – che il loro parametro di riferimento era Martina, con i suoi modi spartani, curiosa e fantasiosa, ma anche molto educata. Una bella differenza con quella ragazzina arrogante e tutta fronzoli. Tra l’altro, pur avendo un aspetto angelico con riccioli biondi e grandi occhi azzurri, riusciva a dire cose cattive che toccavano e ferivano. Dopo l’ennesima lite con i cugini che Maria aveva tentato di ricomporre, le si rigirò furibonda: «E tu, zia, hai due figli maleducati e hai pensato bene di metterne al mondo un altro! E sei vecchia, lo sai, e lo zio lo è ancora di più, sembrerete i nonni di questo bambino!».
Maria rimase senza parole. Non la rimproverò neppure. In fondo, secondo lei, aveva detto la verità. Alla nascita del bambino lei avrebbe avuto quarantadue anni e Marco Aurelio quarantacinque. «Tesoro – la consolava Maria Sandrelli – non dar retta a quella piccola civetta astiosa. Voi siete una coppia bellissima e ancora nel fiore degli anni. Sarete genitori fantastici».
I mesi passavano e i disturbi si erano attenuati, mentre la rotondità dell’addome si accentuava e la pelle di Maria Anellini acquistava quel tono luminoso tipico della maternità.
Glielo diceva perfino la sua amica Stella Dindoni nata Lodi: «Maria, guarda, questa gravidanza ti dona. Hai una pelle bellissima, non proprio come la mia, però, credimi, in questo momento solo io ti batto in quanto ad incarnato, tutte le altre hanno un aspetto molto più spento del tuo».
«Grazie, Stella. Io mi sento così pesante, però».
«Cara, d’altra parte, hai un bambino che cresce dentro di te. Quando aspettavo il mio Lorenzo, presi quindici chili».
«E non li ha più persi» commentava Maria Sandrelli in separata sede.
I figli della Dindoni erano grandi. Lei era coetanea delle Marie, ma si era sposata presto. Lorenzo frequentava il primo anno di università e la secondogenita, di nome Marilyn, era al quarto anno del liceo. Il nome della ragazza era stato spesso oggetto di discussione tra le amiche.
«Ma io dico – osservava Maria Sandrelli – come si fa a chiamare una figlia con un nome del genere»
«Perché, scusa – la Anellini – a Stella piaceva Marilyn Monroe, magari auspicava che la figlia le somigliasse».
«Beh, in tal caso non è andata proprio nel giusto verso. Marylin somiglia tutta al padre, piccola e grassottella, anche lei sempre sudaticcia».
«Ma ha dei begli occhi».
«Sì, sì , Maria. Si dice sempre così».
La Dindoni nata Lodi, comunque, in quell’inverno a cavallo tra il 1972 e il 1973, aveva raggiunto una delle sue massime aspirazioni. Finalmente aveva trovato una casa con le terrazze. Non il balconcino e neppure una banale terrazza coperta. Era davvero una casa in cima al mondo la sua. O almeno così l’aveva definita Maria Sandrelli, sanremofila estrema, che spesso rubava citazioni alla musica leggera italiana. Si trattava di un attico in una zona residenziale non lontana dal centro della città, oltre centocinquanta metri quadri e tanta luce. Ma, in effetti, la cosa più bella, erano le tre grandi terrazze, di cui una, coperta per metà, era in continuità con il doppio salone. Da lì, nei giorni in cui l’aria era limpida, si vedeva il mare.
Alla matrona maremmana era piaciuta molto la definizione di Maria S. e così anche lei parlava con tutti di “una casa in cima al mondo”, sicuramente era una meta raggiunta, da lì le sembrava di dominare la città e il destino. Cosa poteva accadere di brutto ad una persona che viveva in quel paradiso?
Ma la soddisfazione non sarebbe stata sufficiente senza un’ampia condivisione. Così la Dindoni aveva pensato di organizzare un evento vero e proprio (non una cena, molto di più, diceva) a cui sarebbero stati invitati tutti i notabili grossetani. Bisognava aspettare la primavera, però, altrimenti le terrazze non avrebbero potuto essere le protagoniste della festa. Naturalmente l’unica che l’ascoltava con partecipazione era Maria Anellini. Tutte le altre, dopo qualche minuto, cambiavano discorso. «Sono invidiose» diceva la Dindoni.
Così Maria era stata coinvolta nella organizzazione del mega evento che avrebbe dovuto svolgersi la sera del trenta aprile. «Sarà ancora un po’ freschino, forse, ma se aspettiamo ancora, tu partorisci ed invece la tua presenza è indispensabile!».
La data presunta del parto era in effetti piuttosto vicina. Il bambino sarebbe nato intorno al dieci di maggio e quindi non si poteva andare tanto in là con l’inaugurazione della casa in cima al mondo.
La mattina del venerdì santo (quell’anno la Pasqua cadeva il 22 aprile) Maria Anellini, ormai voluminosa ma bellissima, aveva in custodia, oltre ai suoi figli, anche la piccola Martina, la cui madre doveva lavorare per imminenti scadenze fiscali.
Mentre i ragazzi giocavano a Monopoli, la Anellini leggeva un libro che le aveva regalato Maria Sandrelli, molto in voga in quel periodo, Sarò madre ma , anziché chiarire i suoi dubbi, la lettura la stava mandando in confusione. C’erano tante cose che non sapeva, eppure aveva già due figli. Forse non era una buona madre? Oppure la teoria era diversa dalla pratica? Sicuramente c’erano madri migliori – pensava – più consapevoli, con metodi educativi più adeguati. Magari aveva ragione sua suocera…
Mentre Maria si avvitava nei suoi dubbi insanabili, squillò il telefono. Era Stella che perentoriamente richiedeva la sua presenza per andare a ordinare i fiori per la festa.
Così la Anellini, accompagnata da Martina (che nutriva una curiosità antropologica nei confronti della Dindoni), benché piuttosto affaticata, si recò all’appuntamento che l’amica le aveva dato dal Giusti, il più noto e fornito fioraio della città.
L’ambiente era curato e suggestivo. Fiori freschi multicolori e piante di tutte le dimensioni, oltre alla competenza e gentilezza dei titolari, facevano sì che il negozio situato nell’antica piazzetta San Michele, fosse il più frequentato dai grossetani.
Se la Dindoni nata Lodi fosse stata un fiore, di sicuro si sarebbe trattato di una esuberante rosa rossa. Questo pensava la Anellini e non poté trattenersi dal dirlo all’amica mentre sceglieva gli addobbi floreali per l’imminente inaugurazione. «Tu, Maria, sei sempre così gentile. Però è vero, non potrei essere altro che una rosa, la regina di tutti i giardini! Tu invece sei una violetta, sempre un po’ ritrosa, ma elegante. E Martina – sorrise rivolgendosi alla bambina – è una bella margheritina».
«No, signora – replicò lei seria – io sono una viola del pensiero!».
La Dindoni e Maria risero per la convinzione della ragazzina, d’altra parte una sua caratteristica abituale, e tutte e tre proseguirono verso il vicino Corso Carducci, la Dindoni sgargiante come una rosa sbocciata, Maria incerta come una violetta e Martina impegnata come riteneva dovesse essere una viola del pensiero.
«Ma allora, Maria, come chiamerai il bambino?» domandò la Dindoni.
«Guarda, se è un maschio, sicuramente Pietro, come il nonno di mio marito».
«Ma se fosse una bambina?».
«Non riusciamo a metterci d’accordo. Io vorrei chiamarla Serena, come la canzone di Gilda Giuliani, hai presente? Serena, io ero serena, serena come un cielo blu… Ma Marco Aurelio non è d’accordo, vuole un nome di famiglia. E, dato che di Agata ce ne sono già due, e avanzano, vorrebbe ricordare sua nonna Rosalia».
«Uh. No, no. Un nome antico».
«Sì, ma, sai, mi conosci, io non riesco tanto a impormi».
Nel dire questa frase, Maria ebbe la sensazione che qualcosa la tirasse verso il basso. Era Stella che improvvisamente le si era aggrappata al braccio destro. Si girò verso l’amica e vide che era sbiancata «… la testa, Maria…». E, in un attimo, la Dindoni nata Lodi sbandò, poi si accasciò e furono inutili i tentativi di Maria e Martina di sostenerla. Riuscirono solo a non farla stramazzare al suolo, ma comunque, in pochi secondi, Stella era lunga distesa in mezzo al Corso, davanti al negozio di abbigliamento di cui era cliente affezionata.
Pochi minuti dopo, una piccola folla si era accalcata intorno alla donna. Martina le teneva la mano e guardava seria la Anellini che si teneva la pancia voluminosa mentre le scorrevano copiose lacrime. L’ospedale era lì vicino (il nuovo ospedale, più grande e periferico, era in costruzione) e rapidamente giunsero medico e ambulanza.
Per Maria fu come un sogno, un sogno spaventoso. Dal negozio dei fiori in piena letizia all’ospedale con Stella che non riprendeva conoscenza. La sala di attesa era decisamente squallida, con dure panche di formica e linoleum sul pavimento. Maria e Martina, mute, tenendosi per mano, aspettavano notizie. Maria supponeva di conoscere il medico che aveva soccorso Stella, perché lui l’aveva salutata con cordialità, ma, ovviamente, non era certa di chi fosse e tantomeno ne ricordava il nome. Così non sapeva di chi chiedere e guardava Martina sperando che almeno lei avesse qualche idea. «Credo che il dottore si chiami Deloma. Era alla cena per il compleanno di Marco Aurelio. Non te lo ricordi?».
«Tesoro, no, già non riconosco nessuno, quella sera poi…». Le uscì un sorriso pensando a quando aveva vomitato sul vestito della Dindoni. Aspettarono ancora una mezz’ora, poi il Dr Deloma uscì molto serio dal Pronto Soccorso e si avviò verso di loro.
«Dottore, allora?».
«Signora, purtroppo, mi dispiace…».
«No, non è possibile. Ma perché?».
«Un’emorragia cerebrale massiva».
«Ma come, così…».
Ormai Maria piangeva senza poter minimamente controllare ciò che le accadeva. Martina le stringeva il braccio, anche lei sbigottita. Poco dopo arrivò trafelato l’avvocato Dindoni, seguito a ruota dalla sua storica segretaria di cui Stella parlava sempre. In verità Maria aveva immaginato una donna di una certa età, scialba come le era stata descritta. Invece la signorina Edda Gini non superava i trentacinque anni e, pur essendo piccola di statura, aveva proporzioni perfette ed un viso regolare ed espressivo. Si rivolse a Maria: «Immagino che lei sia la signora Pastacorta». Maria annuì.
«Piacere, anche se la circostanza…».
L’avvocato Enrico Dindoni si teneva la testa con le mani, incredulo. «Mi scusi – continuò Edda – devo andare a sostenere Enrico, sa, è un bruttissimo colpo». Enrico?? – pensò Maria – Quanta confidenza. E poi un’espressione strana, dura… Possibile che…
Mentre indugiava in queste riflessioni, ecco entrare nella sala di attesa Franca, sorella maggiore di Stella. Non avevano rapporti particolarmente affettuosi. Lei era sempre stata meno bella, meno brillante, meno ambiziosa ed aveva fatto un matrimonio assai più modesto. Appariva dispiaciuta, ma come per un contrattempo più che per una disgrazia di quella portata. Si avvicinò a Maria per sapere i particolari dell’accaduto, ma lei piangeva così tanto che non riusciva a parlare. Così fu Martina a raccontare del negozio di fiori e di come stava bene Stella e poi, in pochi minuti…
Franca ascoltava con la fronte aggrottata, ma senza lacrime. Alla fine del racconto, si rivolse a Maria, ormai disfatta, e le disse «Che peccato proprio ora che aveva trovato una casa con le terrazze!».
Lei la guardò incredula e si alzò in piedi per prendere le distanze. In quel preciso momento, avvertì qualcosa di caldo che le scorreva tra le gambe. Martina le teneva la mano e guardava la pancia, poi volse gli occhi a terra e disse: «Maria, si sono rotte le acque».
«Ma che dici, cara».
«Sì, lo so, l’ho letto nel libro che ti ha regalato mamma. Tra poco nasce il bambino». La saggia bambina si avvicinò al dr. Deloma che stava parlando con i parenti di Stella e lo tirò per un braccio.
Nel giro di poco, Maria era in sala travaglio, Martina compassata nel corridoio, sperando che arrivasse sua madre a sostenere la situazione.
Ormai in sala di attesa era un manicomio. Da una parte numerosi erano ormai parenti e amici della Dindoni, più o meno affranti, ma tutti con una gran voglia di chiacchierare, coordinati dalla efficientissima segretaria che guidava la conversazione. Dall’altra, arrivarono in breve: Maria Sandrelli con il corredino per il bambino e la camicia da notte per la Anellini; Marco Aurelio, stravolto dall’emozione, che mentre porgeva le condoglianze all’avvocato, era preoccupato e ansioso per la moglie; i ragazzi Pastacorta, in un angolo con Martina che li ragguagliò sugli ultimi eventi; i genitori della Anellini, agitati per la figlia e increduli per la tragedia appena accaduta.
Maria Anellini, intanto, continuava a piangere e non le sembrava neppure di avvertire le contrazioni, pur se violente. Il parto fu veloce e strano. Raccontava poi Maria che sentiva il dolore, ma le sembrava estraneo. Era come se lo shock per la morte improvvisa dell’amica l’avesse anestetizzata. Nacque una bambina bellissima, con piccoli aggraziati lineamenti che ricordavano la finezza del padre e la dolcezza della madre.
Maria la guardava ammirata e amorosa, ma non riusciva a smettere di piangere. Rivedeva Stella che si paragonava a una rosa per poi accasciarsi subito dopo. E rivedeva Enrico Dindoni, e la volitiva e confidenziale segretaria, e la sorella così imperturbabile…
In mezzo alle lacrime prese una decisione, per la prima volta irrevocabile: la piccina non si sarebbe chiamata Serena e neppure Rosalia.
Si rivolse al marito e ai figli che le si erano fatti intorno e la abbracciavano. Indicò la bambina nella culla. E, tra le lacrime, le spuntò un sorriso: «Ecco, questa è la piccola Stella».

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