Stasera al Pensionato Santa Corradina di Montale c’è una grande animazione perché stanno per arrivare due personaggi illustri, da tempo missionari in Amazzonia: padre Eulalio e il compaesano don Adelmo.
Le anziane ospiti non parlano d’altro. In particolare, la loro attenzione è tutta rivolta a don Adelmo, che in paese tutti conoscono fin da quando era bambino.
«O bimbe, chissà se è invecchiato?!» si domanda la Cecchini.
«Bah, o che s’ha a invecchiare altro che noi?- replica risentita la Morozzi – Sarà di sicuro invecchiato anche lui. Son passati tanti di quegl’anni! Io me lo ricordo bene quand’era giovane. Gli era un ragazzo tanto a modino. Sempre in camera sua a studiare, mai una partita al circolo, mai una fidanzata. Tanto che la su’ mamma gl’era di molto preoccupata.»
«Si vede che aveva intenzione di farsi prete fin da piccino.» osserva la Barbini, in uno dei suoi rari momenti di lucidità.
Anche le suore sono in fibrillazione: don Adelmo è molto stimato in diocesi e la sua attività missionaria molto seguita dalla parrocchia. Le sue prediche amazzoniche sono state anche pubblicate in volume da una casa editrice vicina alla Curia.
Suor Addolorata (la Madre Superiora), suor Speranza e suor Maria Celeste (al secolo, rispettivamente: Luana Santini, Edy Tanganelli e Lisetta Gori) stanno lavorando da diversi giorni per organizzare in ogni minimo particolare la festa in onore di Santa Corradina: messa concelebrata da padre Eulalio e da don Adelmo, coro della Congregazione femminile che porta il nome della santa, cena comunitaria con le ospiti del Pensionato e spettacolo dei bambini della scuola elementare.
L’accoglienza è assai calorosa anche perché, per le anziane ospiti, le occasioni di festa sono davvero poche. Infatti, solo di rado viene loro concesso qualche diversivo per rendere qualche giornata meno uguale alle altre.
Al momento dell’omelia, tutti gli sguardi sono per don Adelmo, il quale, nonostante abbia già superato da tempo la cinquantina, conserva ancora un certo fascino discreto, in stile Uccelli di rovo, come hanno fatto giustamente notare alcune clienti della parrucchiera della piazza. Un fascino che il nostro missionario non si cura di esibire, anzi sembra che lo sguardo diviso fra il mistico/estatico e il sospiroso/sensuale delle parrocchiane gli dia quasi fastidio. Proprio come quando, da ragazzo, dava poca confidenza ai compaesani e rifuggiva dal mischiarsi ai loro divertimenti. Evidentemente preferiva starsene in disparte per non cadere nelle tentazioni mondane.
«Se proprio non potete essere casti, allora seguite il consiglio di S. Paolo che dice che chi non sa vivere in continenza, per evitare la tentazione di fornicare, è meglio che si sposi! – tuona dal pulpito don Adelmo, con l’indice rivolto verso i banchi delle prime file, dove siedono una ventina di anziane signore (ormai non più annoverabili nella lista delle potenziali lussuriose, a causa dei raggiunti limiti di età) e, accanto a loro, le tre suore (anche loro obbligatoriamente caste e da tempo già in età sinodale).
Ma perché don Adelmo predica con tanta veemenza su un tema che appare così estraneo alla commemorazione di Santa Corradina, donna notoriamente dotata di specchiate virtù ? Il motivo c’è e non ci vuole molto a intuire chi è l’obiettivo della sua filippica: «Ricordatevi che chi si impegna a seguire il voto di castità e poi lo infrange per imboccare la via della concupiscenza, è doppiamente colpevole: agli occhi di Dio e a quelli degli uomini, in quanto è motivo di scandalo e turba le coscienze dei fedeli.»
È chiaro che don Adelmo allude – e lo fa senza troppi veli – a don Luca, il quale, dopo tre anni di sacerdozio, si è reso conto che la vocazione vacillava sotto i colpi degli ormoni e che quindi era il caso di adottare il famoso remedium concupiscentiae di cui parla appunto San Paolo. Così, per non mentire a se stesso, al Padreterno e ai suoi parrocchiani, ha onestamente deciso di abbandonare la tonaca per una gonnella, unendosi ad una giovane impegnata nel volontariato e nella catechesi. «In fondo – hanno commentato le solite clienti della parrucchiera – non ha preso mica una spogliarellista!»
«Guai a voi, schiavi della lussuria! – grida ancora don Adelmo, puntando l’indice in direzione di due vecchiette, ormai inesorabilmente compromesse dall’Alzheimer – Si sa che la carne è debole ma la vostra volontà deve combattere contro le tentazioni del Demonio. Dovete sottomettere le passioni carnali alla ragione. Don Luca ha peccato e Dio non esiterà a punirlo. E con lui punirà anche quella sciagurata che non ci ha pensato due volte a farsi strumento del Maligno. Guai a loro e a tutta la loro colpevole stirpe, destinata a sprofondare nella Geenna.»
«O non l’ha detto lui che, se uno non ne può fare a meno, è bene che pigli moglie? E dove sarebbe questa Geenna?» sussurra la Morozzi, che non ha capito fino in fondo il senso della predica.
«Sss…bimba! – fa la Cecchini, facendogli segno di chetarsi – Parlava per gl’omini normali, non per i preti.»
Alla fine della messa, un innocente coro di bimbi si innalza verso il cielo, nel tentativo di offrire una qualche riparazione per l’esecrabile peccato di don Luca.
Le ospiti del Pensionato, esauste per la cerimonia che si è protratta oltre il previsto, non vedono l’ora di mettersi a tavola. Le suore hanno apparecchiato nel salone, tirando fuori dai cassetti le tovaglie buone di Fiandra e le stoviglie d’argento delle grandi occasioni. Padre Eulalio è simpatico e cordiale, dispensa sorrisi e pacche sulle spalle alle vecchiette e pare apprezzare molto sia i tortelli con il sugo che il vino che la Madre Superiora ha fatto venire appositamente da Carmignano.
Don Adelmo, invece, mangia come un uccellino e lancia sguardi di disapprovazione nei confronti di padre Eulalio (che, invece di dare l’esempio, canta, ride e si rimpinza di tortelli) e delle suore,che si riempiono i bicchieri di vino rosso e, alla fine del pasto, fanno persino il bis con il vin santo. Con la scusa che ci devono inzuppare i biscotti di Prato e che, in fin dei conti, è vino sì … ma pur sempre santo!
«Che bella festa, sorelle! – commenta compiaciuta suor Speranza – domani avremo un bel po’ di lavoro per rimettere tutto al suo posto. Però ne valeva la pena, non vi pare?»
In effetti, il salone è tutto sottosopra: i tavoli sono ancora da sparecchiare e ovunque svolazzano palloncini colorati che i bimbi della scuola hanno voluto regalare alle nonne del Pensionato. Un’allegria così era tanto che non si avvertiva in quelle stanze sempre austere e troppo ordinate.
«Certo che ne valeva la pena! – esclama suor Maria Celeste – È da quando ero ragazza che non bevevo tutto questo vino. Per la precisione, da quando mi diplomai maestra. Ricordo che andai con certe mie compagne di scuola in villeggiatura a Viareggio …»
L’occhio della monaca si accende improvvisamente a quel ricordo lontano e trasgressivo: «Una sera, in pizzeria, ci prendemmo tutte una tale sbronza che non riuscivamo più a trovare la strada per ritornare alla Pensione. Un’avventura davvero memorabile, sorelle!»
La Madre Superiora le lancia un’occhiata di benevolo rimprovero: «Eh sì, la gioventù è sempre stata pericolosa anche ai nostri tempi. Spero che, in questi anni, tu abbia avuto il tempo di recitare un congruo numero di Paternostri per espiare a dovere codesto momento di debolezza.»
«Certo! – ribatte con fermezza la monaca pentita – E da allora non ho più assaggiato un goccio di vino. O meglio, fino a stasera. Naturalmente, se ho bevuto un po’ di Carmignano, l’ho fatto per non mettere in imbarazzo padre Eulalio, che, nel giro di venti minuti, aveva già stappato la seconda bottiglia.
«Anch’io mi son dovuta bagnare le labbra per non essere scortese. – ammette la Madre Superiora – Se non l’avessi fatto avrei peccato di superbia perché non sta affatto bene riprendere i propri pastori. In fondo, anche Gesù, alle nozze di Cana, non ci pensò due volte a moltiplicare il vino. Non poteva mica passare per tirchio! Anche a me è sembrato assolutamente lecito partecipare a questo straordinario clima conviviale brindando con qualche bicchiere.»
Suor Maria Celeste si vede che ha partecipato con sincera enfasi perché ha il naso arrossato e sente un gran caldo dappertutto: «Com’è buono il vino di Carmignano!»
«Lo sapete, sorelle – azzarda timidamente Suor Speranza – che già dopo il primo bicchiere, io, che di solito sono tanto riservata, son diventata subito gioviale con tutti? Deve essere stata l’esperienza comunitaria ad aprirmi il cuore…»
«È vero – si esalta Suor Addolorata, per un istante dimentica del ruolo gerarchico- Stasera, a tavola, mi son sentita proprio come San Pietro durante l’ultima cena. Voglio dire, prima che succedesse quella brutta scenata con Giuda.»
Suor Speranza, intanto, si avvicina a un tavolo e scola il fondo di una bottiglia, leccandosi voluttuosamente le labbra. Poi esclama con insolito brio:«Alla salute, sorelle! Alla nostra e a quella di don Adelmo.»
«Sì, anche alla sua, – ribatte suor Maria Celeste – sebbene ( sia detto fra noi) non si meriterebbe nessun brindisi, visto che ha cenato ad acqua minerale e ha rifiutato sdegnoso anche il vin santo.»
«Avete notato – fa Suor Addolorata slacciandosi la cintura – che sguardo arcigno che aveva? Non ha sorriso nemmeno quando i bimbi hanno recitato la poesia.»
«Sì, è vero! – ammette Suor Speranza con lo sguardo velato da una botta di tristezza etilica – È stato proprio un gran maleducato e le vecchiette ci saranno di sicuro rimaste male.»
Ora è Suor Maria Celeste che si sente di rincarare la dose: «Mah, quella predica così astiosa se la poteva anche risparmiare, non vi pare? Mi dispiace per don Luca, poverino, che, dopo che si è spretato, è stato isolato da tutti e non sa come fare a campare. Non pensate, sorelle, che la pietà cristiana imporrebbe di accoglierlo fraternamente e di aiutarlo a superare questo momento così difficile per lui?»
Suor Addolorata sospira: «Sì, credo anch’io che non si debba giudicare. Ma don Adelmo – lo sanno tutti – è sempre stato intransigente.»
«Diciamo pure che è un vero Savonarola! » mormora Suor Speranza spazientita, mentre si sdraia sul divano e si toglie le scarpe.
«Su, su, sorelle, non sta certo a noi giudicare né la debolezza di don Luca, né la severità di don Adelmo. Che il Signore mi perdoni, è stato davvero odioso!» conclude perentoria la Madre Superiora.
«Brava, Reverenda Madre, odioso è proprio la parola giusta!» Ormai Suor Celeste non ha più freni inibitori e si lascia andare a un ricordo lontano. Abbassando la voce, incomincia a rievocare, incoraggiata dal clima di affettuosa intimità fra consorelle che, complice il vino di Carmignano, si è venuto a creare nella luce fioca del salone: «Visto che siamo in confidenza, voglio raccontarvi qualcosa che vi stupirà. Lo so che non sta bene fare pettegolezzi, specialmente noi che indossiamo questa sacra veste, ma siamo pur sempre donne, no?»
«Giusto!» la sostiene tutta infervorata Suor Speranza, alla quale si è sciolta miracolosamente la lingua e non sta più nella pelle dalla voglia di recuperare il tempo perduto nel silenzio del chiostro.
«Dunque, come sapete, io ho studiato da maestra e, prima della vocazione, ero… come dire… una ragazza piuttosto sveglia. In senso buono, intendiamoci. All’Istituto magistrale avevo una certa fama – Suor Maria Celeste ridacchia compiaciuta – Voi capirete… Allora non era come ora. Bastava che una si mettesse la minigonna, il rossetto e un paio di calze a rete che subito la guardavano come i Farisei guardano la Maddalena nel quadro che c’è in sacrestia. Insomma, per farvela corta e breve, tutte le volte che mi mettevo una maglia scollata e la professoressa di Latino mi dava tre, don Adelmo non stava più nei suoi panni dall’eccitazione.»
«O che c’entra don Adelmo?» chiede a bruciapelo Suor Addolorata.
«C’entra eccome! Quel sepolcro imbiancato era il mio compagno di banco.»
«Questa non si sapeva …- ridacchia divertita Suor Speranza – Dicci, dicci, com’era?»
«Come vuoi che fosse? Scostante e secchione. Ma, sotto sotto, come sempre succede a questi tipi troppo perfetti, aveva tutt’un altro temperamento.»
«Che cosa vorresti dire? » la interrompe la Madre Superiora con falsa ingenuità.
«Te lo dico subito. E tu, Speranza, non ti scandalizzare, eh? Dunque, il nostro don Adelmo che fa tanto il puro, spesso e volentieri mi sbirciava lo scollo e mi toccava le gambe, con la scusa di prendere i libri in cartella. Poi diventava rosso come un peperone e, quando mi mettevo il profumo, aveva uno sguardo che non vi dico …»
«O come sarebbe?» chiede Suor Speranza interessatissima.
«Ovvia, ora non me lo ricordo più. Sono passati tanti di quegli anni e i miei pensieri sono ormai lontani dall’ardore giovanile. Ma allora vi confesso che il suo atteggiamento mi turbava assai. Un giorno presi coraggio e glielo dissi in faccia. Fu proprio nello spogliatoio della palestra, quello riservato ai maschi. Me lo ricordo come se fosse ora. Approfittando di un attimo di distrazione della professoressa di ginnastica, mi infilai nello stanzino e gli domandai come mai mi guardava in quel modo.»
«E lui?» la incalza Suor Speranza.
Eh… – sospira Suor Maria Celeste un po’ imbarazzata – Che vuoi … eravamo giovani. Fece come la monaca di Monza :lo sventurato rispose»
«Gesummaria!- mormora Suor Speranza.
Frattanto, Suor Addolorata passeggia su e giù per il salone, contorcendosi nervosamente le mani. Dopo un po’ si decide finalmente a rompere il silenzio e fra lo stupore delle consorelle si lascia andare ad un’esclamazione assai poco idonea all’abito che porta:«Ma di che ti stupisci? Tu non lo sai ma quello è sempre stato un … gran maiale!»
«E tu che ne sai, Reverenda Madre?» chiede sbigottita Suor Maria Celeste.
«Eh, ne so almeno quanto te!» replica secca Suor Addolorata. Poi, socchiudendo gli occhi, si lascia andare di peso sulla poltrona e incomincia il suo racconto:«Avevo diciotto anni e mi ero diplomata ragioniera da un paio di giorni. Niente faceva prevedere che avrei preferito il velo monacale ai libri contabili. Un giorno, ad una festa in casa per festeggiare la fine degli esami, conobbi questo giovane appena maturato maestro. Mi sembrò un tipo serio e giudizioso. Ballammo insieme un lento, con una canzone in sottofondo (per la verità un tantino scabrosa) di cui ricordo ancora tutte le parole. Diceva – Dio mi perdoni – “perché Margherita ama e lo fa una notte intera”. Ora voi dovete sapere che io, di secondo nome, mi chiamo come la mia povera nonna: Margherita. E feci l’errore di dirglielo.»
«E lui?» la incalza, morbosa, Suor Speranza.
La Reverenda Madre sospira, poi risponde spiccia:«Volle sincerarsi che fosse vero. Voglio dire, sì che Margherita … Insomma, avete capito, no?»
Il silenzio cade improvvisamente nel salone. Le tre suore si guardano con affettuosa complicità. Non avevano mai parlato con tanta franchezza e mai avevano osato superare quella soglia di riservata verecondia che, talora, impedisce la condivisione di ogni sia pur elementare forma di intimità.
È Suor Speranza a rompere il silenzio:«Avete capito il nostro don Adelmo, eh? Sembrava un santarellino, mentre condannava don Luca, che almeno ha avuto il coraggio di essere sincero. Chissà quante altre ragazze avrà tentato quel Demonio vestito da prete!?»
«Dopo il fattaccio dello spogliatoio – racconta Suor Maria Celeste – mi disse che voleva fidanzarsi con me e io, scema, ci credetti. Invece, poco dopo la maturità, entrò in seminario, senza dir nulla a nessuno. Quanti pianti ci feci! E poi decisi che l’avrei seguito e non volli sentir ragioni: alla fine dell’estate entrai in convento. Il babbo, che era comunista e aveva fatto tanti sacrifici per farmi studiare da maestra, smise di parlarmi, mentre la mamma mi supplicava di non farmi monaca, perché tanto lo facevano quasi tutte prima di sposarsi e nessuno gli dava più importanza come ai suoi tempi.
«A me andò anche peggio. – la interrompe bruscamente Suor Addolorata – Quello schifoso mi disse che era già fidanzato, ma, se volevo, potevo diventare la sua … amante. Capite? Io gli risposi che, per me, era finita lì. Ma, poi, tutte le volte che lo vedevo in paese, mi veniva un tuffo al cuore. Quando seppi che si era fatto prete, da una parte, mi consolai perché, se non lo potevo avere io, ero contenta che non l’avesse nemmeno – scusami, sorella – quell’altra. Ma poi venne la vocazione anche a me e lasciai lo studio del commercialista di Agliana, dove avevo incominciato a fare pratica, per entrare in convento.»
«Accidenti … – Suor Speranza guarda le consorelle con un’espressione carica di innocente invidia – Buon per voi che avete conosciuto di persona le tentazioni del mondo e vi siete potute redimere. Almeno avete qualcosa da raccontare. Come mi sarebbe piaciuto avere avuto anch’io qualcosa da espiare. Come si dice? Meglio rimorsi che rimpianti. Ma, ormai, anche volendo, non sono più in tempo. Però, se fossi in voi, una bella lezione a don Adelmo gliela darei volentieri. In fondo, se ci pensate bene, chi non vi dice che stasera la nostra sbronza non sia stata voluta dalla Provvidenza?»
«Ma che dici, sorella? – la corregge, severa, la Reverenda Madre – Noi non siamo sbronze. Semmai, leggermente su di giri. Avete presente L’estasi di Santa Teresa? Ecco, mi pare di sentirmi esattamente come lei.»
«Appunto, – insiste la suora virtuosa suo malgrado- volevo semplicemente dire che, se noi stasera siamo qui per parlare del passato, per Qualcuno, lassù, il passato non è ancora passato. Insomma, credo di interpretare la Volontà Superiore se vi dico che a quel prete bisogna dargli una bella lezione. Una di quelle che servano da esempio agli altri.»
«Sì, dai! – grida Suor Maria Celeste tutta infervorata – Una di quelle lezioni che non si scordano più!»
«Calma, sorelle – rettifica la Reverenda Madre – Io non dico che non abbiate ragione ma bisogna sempre obbedire alla volontà di Dio e fare in modo che la punizione redima e converta il peccatore. Altrimenti si tratta di pura sete di vendetta ed è voluta dal Demonio.»
«D’accordo, – conviene Suor Maria Celeste – chiamiamola pure punizione a scopo redentivo.»
«Io un’idea ce l’avrei … »sussurra, ammiccando maliziosamente, Suor Speranza.
«Sentiamola!» rispondono all’unisono le due consorelle.
«Ve lo ricordate qualche anno fa, quando don Adelmo tornò dall’Amazzonia per le vacanze di Natale e si sentì male perché aveva mangiato dei crostacei e non sapeva di essere allergico?»
«Certo che me lo ricordo! – gli occhietti arrossati di Suor Maria Celeste si illuminano all’improvviso – Finì anche sul giornale. C’è mancato poco che il Signore non lo chiamasse a sé.»
«Si vede che non era ancora l’ora di fargli tirare il calzino – replica asciutta la Madre Superiora – Ma ora sono passati diversi anni e può darsi che … »
«Sia finalmente arrivato il suo momento.» conclude Suor Maria Celeste, con un sorrisino impietoso che è tutto un programma.
Padre Eulalio, prima di ripartire per l’Amazzonia, ha accettato volentieri l’invito alla festa del patrono. L’ospitalità delle suore del Pensionato di Santa Corradina l’ha conquistato e non può certo rifiutare. Tanto più che hanno insistito tanto perché venisse anche don Adelmo, insieme al sindaco, alla Misericordia e ai bimbi della scuola elementare, che, per l’occasione, metteranno in scena una commedia gialla divertentissima dall’emblematico titolo: “Riso amaro”. Ovviamente con grande entusiasmo delle anziane ospiti.
«Bimbe, lo sapete che stasera ci fanno il risotto con le fragole? » annuncia tutta eccitata la Cecchini. La Barbini, appena uscita dal suo torpore, la guarda con occhi sgranati: «O le fragole non si mangiano per frutta? Che c’entrano con il risotto? Mah, io non ci capisco più nulla con queste ricette moderne.» e ripiomba nel suo stato ipnotico. A questo punto interviene la Morozzi:« Non bisogna dirlo a giro perché la ricetta è segreta, eh? Ma io l’ho sentita con le mie orecchie da Suor Addolorata che dava istruzioni alla cuoca: il risotto va fatto con lo scalogno, un goccino d’olio, le fragole, lo spumante e … indovinate un po’? Ci vanno messi gli scampi!»
«O il che sarebbero questi stampi?» sussurra la Barbini aprendo un occhio.
«Gli scampi, Amelia, gli scampi! – puntualizza la sua amica- Sono una specie di pesce con la buccia.»
«Ah…» replica la Barbini, fissando un punto lontano.
«Ma guarda te come sono aggiornate le nostre monache!- osserva ancora la Cecchini, tutta compiaciuta- Si vede che anche loro seguono la trasmissione della Clerici. Chissà come gli garberà il risotto a padre Eulalio …»
«Io dico che piacerà anche a don Adelmo! – osserva maliziosa Suor Speranza, apparsa improvvisamente nel vano della porta.
Ricetta del risotto con fragole e scampi
(ma stavolta mi sa che don Adelmo non la scampa affatto)
Tagliate lo scalogno a fettine sottili e soffriggetelo nell’olio. Aggiungete poi gli scampi (nel nostro caso sgusciati, per mimetizzarli meglio) e fateli svaporare con un bicchiere di spumante (sempre che padre Eulalio non abbia fatto una visitina in cantina e non se lo sia scolato tutto lui). Quando il cuoco è psicologicamente pronto, può occultate l’ingrediente killer con abbondanti fragole a pezzi, che, una volta disfatte, conferiranno al vostro risotto un colore rosso sangue, in piena sintonia con lo scopo (penitenziale) della serata. Alla fine, allungate con brodo di pesce ( o acqua) e unite il riso, il quale, inconsapevole esca, si farà giusto strumento della Giustizia Divina. Le suore del Pensionato Santa Corradina di Montale vi augurano un buon appetito (naturalmente dopo le preghiere di rito).
Tratto dal libro Il delitto vien mangiando
Laura Vignali
Il racconto mi è piaciuto moltissimo, e, che Dio perdoni, mi sono divertita a leggerlo. Sei brava cara Laura. Un abbraccio
O come si fa a non gustare un racconto così coinvolgente,anche se lo hai letto già altre volte? Laura riesci a fare questa magia……..un bacione