Soddisfazioni

Alfredo si sentiva decisamente soddisfatto. La giornata era piuttosto fredda, anzi, si poteva dire gelida. Ma nessuna condizione atmosferica poteva minare la felice condizione di guidatore di una fiammante Giulietta Alfa Romeo. Nel febbraio del ’56 non era da tutti. Ma lui era il Conte Pelo, rise fra sé, quel nomignolo con cui lo chiamavano amici e conoscenti aveva un fondo di verità. Non c’era certo nobiltà nel suo albero genealogico, ma lui era dandy, elegante e di bell’aspetto. E ora, con la Giulietta, si sentiva quasi un principe, altro che conte.
E pure uomo d’affari era. Se no perché sarebbe partito dalla Maremma con quel freddo? Per sbrigare affari. Come diceva sua moglie che conosceva l’inglese? Usava una parola strana, non riusciva a ricordarla… busi… che? Boh.
Certo, aver sposato una donna colta, non era da tutti. Eufemia era addirittura laureata, conosceva le lingue ed era straordinariamente perspicace. Non le aveva potuto offrire un vero titolo nobiliare e neppure un’assoluta fedeltà… Ma, a suo modo, l’amava. Lei così misurata, sobria e intelligente, tanto diversa dalle donnette che aveva frequentato. Ah, l’amore. Pensò Alfredo. Ed emise un sospiro di soddisfazione.
Erano sposati ormai da dieci anni e figli non erano venuti, ma che importava? Ora poi, da qualche mese, c’era la nipotina di Eufemia che, guarda caso, si chiamava Giulietta, come la sua splendida macchina… Sorrise pensando alla piccina. Le avrebbe comprato un bel regalo a Milano. Una grande bambola, magari, con un vestito rosa. Certo, ancora non poteva giocarci, aveva appena quattro mesi, ma tra un po’ di tempo sì.
E avrebbe sempre ricordato che era un regalo dello zio Dedo.
Sorrise di nuovo.
Era difficile per un uomo essere tanto soddisfatto. Gli sembrava davvero di avere tutto. Perfino un bellissimo cappotto di tweed con la pelliccia di volpe che gli stava benissimo.
Il percorso per Milano era lungo, in effetti. Ma la Giulietta, nobildonna della strada, non temeva certo le distanze. E il Conte Pelo nemmeno.
Si fermò a Stradella, una cittadina in provincia di Pavia. Lì c’era un ristorante dove gli era capitato di mangiare molto bene e decise di gustare nuovamente la specialità della casa, il risotto alla certosina, caratterizzato da un sugo a base di rane, gamberi e funghi: una squisitezza.
Oreste, il proprietario del ristorante ormai lo conosceva e lo chiamava con deferenza signor Alfredo. Quel toscano elegante e con belle macchine doveva avere davvero un bel giro di affari, pensava. E poi che persona simpatica! In realtà non aveva mai detto di che si occupava, ma di sicuro qualcosa di importante, chissà, forse commerci con l’estero o poteva anche essere nel settore immobiliare.
Dopo pranzo, Alfredo ripartì, non prima di aver salutato cordialmente Oreste e avergli promesso di tornare presto.
Quel risotto aveva ulteriormente migliorato il suo umore.
Giunto a Milano, sistemò le sue cose in albergo e, dopo essersi rinfrescato, si accinse a sbrigare i suoi importanti affari.
Era già sera quando giunse al negozio di Alcibiade, con cui ormai era in confidenza, dato che si recava da lui almeno una volta al mese.
“Oh, Alfredo, eccoti. Mi hai portato tutto?”.
“Ma certo, carissimo. Sai che sono preciso. Vieni, andiamo a prendere la roba in macchina”.
Giunti al parcheggio, Alcibiade espresse il suo apprezzamento per la Giulietta e Alfredo gongolò.
“Ecco qua” disse Alfredo, aprendo il portabagagli. Quest’ultimo era stipato di lenzuola e salviette, in un numero considerevole.
“Bene, vedo che ne hai portate a sufficienza. E quelle per mia figlia Maria Josè? Le servono, ad aprile si sposa”.
“Ma certo, caro Alcibiade, ecco qua, sei paia di lenzuola e una bella quantità di salviette e tutte con le cifre”.
Tirò fuori un lenzuolo, mostrando all’amico il piccolo ricamo prezioso, fatto a mano: MJR, Maria Josè Rossi.
“Bene, allora ti faccio anche un ordine per il mese prossimo. E il tuo principale come sta?”.
“Ottimamente” rispose il Conte Pelo.
Insieme si incamminarono verso il negozio di tessuti e corredi di Oreste, discorrendo affabilmente.
Gli affari della Ditta P. di Grosseto, produttrice di raffinate lenzuola, tovaglie, salviette e quant’altro, andavano bene. Sì, perché Alfredo, detto anche il Conte Pelo, era un viaggiatore di commercio di biancheria per la casa, ma, nel suo cuore, si sentiva un uomo d’affari, bello e arrivato (dove non si sa, gli diceva la moglie talvolta). Ah, a proposito, la Giulietta non era sua, ma della ditta per cui lavorava.
Vabbè, pensava Alfredo, ma lei (la bella Giulietta) non lo sa. Conosce solo me ed è questo che conta. È il conte che conta. E, con questo piccolo gioco di parole, riusciva a sentirsi davvero felice. E non è poco.

Fulvia Perillo

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