Papa Wojtyla, la Maremma, il lavoro. Intervista a Silvano Polvani.

TITOLO:

Giovanni Paolo II, Pellegrino in terra di Maremma

AUTORE:

Silvano Polvani

FORMATO: brossura

PAGINE: 225
COLLANA: Nuovi Saggi
ISBN: 978 88 6433 119 5
ANNO DI PUBBLICAZIONE: 2011

PREZZO: euro 15.00

Una chiacchierata con Silvano Polvani che prende spunto dal suo libro per parlare della condizione passata e odierna del lavoro in Maremma. Molte cose sono cambiate da quel lontano 21 maggio 1989, giorno della visita papale nella nostra provincia, e non nella migliore delle direzioni. Polvani ha vissuto da vicino tutte le vicende più importanti, in questo senso, del nostro territorio e qui ne traccia il suo racconto. L’intervista, che ha avuto luogo il 24 settembre scorso, è sia in video che in trascrizione. Dello stesso libro si è anche parlato qui e qui.

Quale è stata l’idea che ha fatto nascere questo volume?

L’idea del libro nasce come rievocazione della giornata di Giovanni Paolo II a Grosseto. Un papa che tornava dopo otto secoli. La precedente occasione era stata  con Innocenzo II (nel marzo del 1133 ndr), ma era una visita di natura differente rispetto a quelle alle quali siamo ormai abituati. Innocenzo II era accompagnato da truppe di soldati e da due santi (uno dei quali era San Bernardo). Venne a Grosseto per sistemare tutta una serie di faccende. Per esempio portò il vescovado da Roselle a Grosseto.

Innocenzo II

Fece delle cose importanti, ma da allora in poi la presenza del papa a Grosseto non c’è più stata. Dopo più di ottocento anni arriverà Giovanni Paolo II: il primo atto che fa (e questa è una cosa che ci deve fare riflettere e indurre a delle considerazioni) è di visitare lo stabilimento chimico dell’area industriale del Casone alla presenza di tanti minatori. Il papa col casco, come è stato definito, il papa che si trovava a suo agio fra i lavoratori. Non a caso lui era stato lavoratore, era stato minatore nelle cave di pietra in Polonia, si era trattenuto in attività lavorative nelle caldaie della Solvay: sapeva che cos’era il lavoro, aveva frequentato la gente che viveva del proprio lavoro.

Per numerose ragioni di natura soprattutto politica il 1989 è un anno cardine sia per l’Italia che per tutto il resto del mondo, da Berlino a Mosca a Pechino. La scelta del papa di venire a parlare di un nodo così importante come il rapporto dell’uomo con il lavoro in quei giorni e proprio a Grosseto probabilmente non è casuale. Dirigere il cono di luce su questa città in quel momento storico aveva un significato di per sé? Qual era la peculiarità della Maremma rispetto ad altre realtà italiane? E nei mesi precedenti come fu accolta la notizia della visita papale?

Piazza Dante

Io credo anche come atto di riconoscenza nei confronti di una città che da troppi secoli non vedeva la presenza di un papa in maniera significativa e importante. E fra l’altro, è doveroso aggiungere, l’attesa della sua visita fu vissuta con ansia e con partecipazione. Il sindaco di allora, Flavio Tattarini, si adoperò perché tutto procedesse nel modo migliore. Si spese molto, fu presente, consegnò le chiavi della città al papa: fu una cosa veramente importante. E poi nel parlare di lavoro non bisogna dimenticare che nel 1981, a settembre, papa Wojtyla pubblica la sua enciclica Laborem Exercens. Si tratta di un’enciclica molto coraggiosa che rivisita quello che è il pensiero della chiesa rispetto al lavoro. E infatti a Scarlino farà un intervento connotato da termini alti, profondi: lui apre la sua omelia dicendo che il lavoratore non è uno strumento della fabbrica o un suo meccanismo. Al contrario egli appartiene ad un ordine di grandezza superiore che lo pone al di sopra di tutte le realtà materiali. Ecco: questo è un concetto forte, di universalità, che non può appartenere ad una compagine o ad un’ altra. E possiede un carattere immenso: l’uomo inteso nella sua piena dignità e nella sua piena libertà. E’ così che Giovanni Paolo II dopo quella sua enciclica si sente impegnato a promulgarla e chiede a tutti di farsene portavoce. Prima di venire nell’area industriale del Casone era stato a Terni, a Rosignano, tanto per rimanere in Italia, ma le sue presenze sono segnate anche in America Latina, in Europa. E dove va il papa con il casco, come viene chiamato, si trattiene a parlare di lavoro. Ma, anzi, dice di più e cioè che il suo vangelo è nato e si è formato sul lavoro, che gli anni che da lui sono stati dedicati al lavoro sono stati anni di profonda maturazione. Così ha capito quanto sia necessario intervenire su questo versante. Attraverso la Laborem Exercens, di fatto, ha consegnato a tutti i cristiani, ma a tutti gli uomini che possano avere il desiderio di impegnarsi sul fronte della solidarietà, della dignità e della giustizia, gli strumenti per agire.

Il discorso che il papa tiene ai dirigenti e agli operai al Casone è di grande spessore. E’ una riflessione sulla dimensione del lavoro nel cammino di ogni uomo. Tuttavia la realtà è ben diversa: la società, attraverso la sua classe  dirigente, ha imboccato una direzione opposta ai contenuti espressi quella mattina da Giovanni Polo II. Riproponendo oggi quelle parole il rischio non è di urtare contro un muro di disillusione ?

Risiede proprio in questa attualità il motivo più profondo per il quale ho cercato di raccontare e attualizzare quella giornata. Oggi viviamo tempi tristi per il lavoro perché non c’è o è negato o è ambito di ricatto o è sottopagato. Non è più un valore solido ma viene reso precario, viene straziato. E’ un lavoro che oggi non è più inteso come valorizzazione della persona o come emancipazione sociale: non è più un distintivo di libertà. Ma senza lavoro non c’è dignità e non c’è libertà: un uomo o una donna senza lavoro sono costretti a chiedere e a perdere la propria autonomia. E’ questo il grande problema con il quale noi oggi ci dobbiamo confrontare. Recentemente a Grosseto è stata fatta una manifestazione di protesta contro questa situazione. Il 6 settembre c’è stato un corteo che ha invaso le strade e che ha mostrato i volti scavati di uomini e donne in cassa integrazione o in attesa della lettera di licenziamento, che si sentono in profonda solitudine e abbandonati e alle quali, magari, la piazza, lo stare insieme ad altri, il sapere che queste difficoltà sono condivise da altre persone, riesce a dare conforto e speranza. Queste stesse sono le parole del messaggio che ha sempre voluto affermare papa Wojtyla: stare vicini alle persone, fare della solidarietà un valore che non sia fine a se stesso, ma che al contrario sia costruttivo, che ti conduca fuori dalla solitudine nei momenti di maggiore difficoltà. A questo proposito mi preme ricordare un episodio importante che appartiene al nostro vescovo, monsignor Franco Agostinelli, che il 10 agosto, in occasione della festa di San Lorenzo, meditando e facendo considerazioni su questo santo giovane (voglio sottolineare il coraggio del nostro vescovo) dice che dobbiamo smettere di giocare a fare i cristiani, di compiacerci delle nostre belle liturgie e invece di scendere fuori e immergerci nei problemi sociali, economici, politici, di educazione, che stanno investendo la nostra società. Non dobbiamo essere spettatori, ma protagonisti. Queste sono parole forti che dette dal pulpito della cattedrale fanno effetto su chi le ascolta. Dovrebbero creare quelle condizioni che facciano sì che il cristiano, come lui dice, come lui immagina in questo momento, smetta di giocare e da spettatore si renda protagonista attivo. Credo che questo suo messaggio lo ritroviamo appieno nelle parole, negli atti e nelle considerazioni che papa Wojtyla fa e che io ho cercato di mettere insieme in questo libro. Il mio, infatti, è un libro dedicato al pensiero del papa sul lavoro, non ha altri obiettivi, non ha un carattere eucaristico, di fede o altro. Il papa è tutt’oggi una figura di primo piano, importante, che richiama non migliaia ma centinaia di migliaia di persone nelle piazze, che fa riflettere e che fa meditare. Ecco: ho cercato di indagare questo aspetto perché credo che sia importante.

Manifestazione a Grosseto

Perché la situazione odierna e quella del 1989 sono in qualche modo assimilabili? Anche quelli erano anni di licenziamenti, di ridefinizione del concetto di lavoro in senso assoluto?

Sitoco

Posso tranquillamente dire che il 1989 per la nostra provincia è stato un anno terribile. Lo posso raccontare perché all’epoca io ero segretario per la CGIL dei lavoratori chimici e dei minatori. In quegli anni, proprio nel 1989, l’ENI annuncia la chiusura delle miniere. Questo significava dover trovare una soluzione per centinaia di lavoratori. Solo a Campiano, che era la miniera modello avviata appena dieci anni prima c’erano 370 dipendenti. A Niccioleta, l’altra miniera, la prima nella quale fu introdotta la meccanizzazione (un fatto eccezionale per quel tipo di lavoro particolare che deve svolgersi nel sottosuolo) c’erano oltre 100 dipendenti. Lo stesso stabilimento per la produzione dell’acido solforico avrebbe subito un colpo importante. Sono anni terribili, ma non solo se riferiti alla chimica. Stava iniziando la crisi dell’Eurovinil: 250 donne che all’improvviso si trovano prive di prospettive di investimento e non sanno più cosa potersi aspettare dal futuro. Non a caso l’Eurovinil verrà chiusa e si riuscirà ad riaprirla solo dopo alcuni anni. C’era la RIMIN, un’altra attività legata alla ricerca mineraria, 40 dipendenti, in prevalenza figure di alto livello professionale: ricercatori, geologi… Ci fu un trasferimento in un altra sede e un ridimensionamento. Ma se andiamo verso il sud della nostra provincia abbiamo la Sitoco che inizia a chiudere. Tutti questi annunci, queste vicende, partono dal 1989: scoppia nella nostra provincia questa crisi assolutamente dirompente che trascina dentro le fabbriche e insieme a queste i destini di donne e di uomini che lavoravano al loro interno. Vicino alla Sitoco c’era la S.I.P.E. Nobel: anche lì inizia la crisi, una crisi che sarà più lunga ma che intorno agli anni 93 – 94 si concluderà con la chiusura. Migliaia di donne e di uomini che non sanno più quale potrà essere il loro destino. Un anno terribile verso il quale, francamente, non sapevamo come comportarci: eravamo tutti quanti smarriti proprio perché non si riusciva a capire la portata della crisi e dove ci avrebbe condotto. Tutto questo siamo riusciti a superarlo con il contributo di tutti: in primis dei lavoratori e del sindacato che hanno sempre avuto un atteggiamento responsabile, non hanno mai ricattato o messo in crisi le istituzioni; una partecipazione attiva da parte di queste ultime che si sono messe allo stesso tavolo del sindacato e vi hanno invitato anche le varie direzioni aziendali che volta per volta erano coinvolte in questi processi di chiusura. E’ in questo modo che si è aperta la concertazione. Credo che il valore della concertazione, qui da noi più che da altre parti, si sia elevato ai massimi livelli e abbia espresso pienamente il significato di questo termine: ci si siede al tavolo, si discute, si trovano e si concertano le soluzioni e su queste poi si agisce ognuno per quella che è la sua autorità e responsabilità. Io credo che la concertazione nella nostra provincia e in quegli anni (che poi vanno dal 1989 al 2005) abbia superato i limiti che erano propri della politica e quelli anche di carattere diverso propri delle crisi finanziarie che hanno investito le banche che non avevano nessun interesse o voglia di mettersi in gioco. Io credo che molti meriti vadano attribuiti ala concertazione e auspico che questa possa essere sempre al centro per poter intervenire sulle crisi che anche oggi sanno essere, per certi versi, devastanti e non interessano solo la nostra provincia ma hanno un carattere più generale e investono il paese Italia e il mondo intero.

Manifestazione a Wall Street

Nel libro viene raccontato in maniera dettagliata l’intervento solerte, in questo scenario di crisi dolorosissima, sia dell’allora vescovo di Grosseto Angelo Scola, sia dell’allora vescovo di Massa Marittima Angelo Comastri. La classe lavoratrice, fino ad allora campo di elezione per la compagine politica comunista (che comunque sarebbe rimasta in vita ancora per poco) ha trovato un riferimento in un versante non contemplato in precedenza. Come è stata vissuta questa consegna da parte di un corso politico che così tanto ha significato per il nostro territorio?

Quella storia l’ho vissuta in prima persona. Fummo noi, come sindacato, ad andare a riferire e a intervenire nei confronti dei nostri vescovi. L’avevamo fatto negli anni ottanta con un vescovo molto vicino ai problemi del lavoro e agli operai: monsignor Vivaldo, di Massa Marittima, che è sempre stato attivo e vivace nei confronti dei lavoratori. E lo abbiamo fatto alla fine degli anni ottanta: andammo prima dal vescovo Comastri a Massa Marittima e gli riferimmo di queste difficoltà. Comastri non ebbe un attimo di esitazione nello scendere al fianco dei lavoratori.

Ma questo significa che era assente un riferimento alternativo nel campo della politica, delle istituzioni e della società civile o che questo non rispondeva più alle sollecitazioni del mondo del lavoro?

Angelo Comastri

Quando noi andiamo dai vescovi posso dire che, sostanzialmente, avevamo già fatto tutto il percorso classico, quello che il manuale ti riferisce di fare. Parti dai lavoratori e assieme a questi fai intervenire la politica, le istituzioni dal livello comunale a quello provinciale, regionale, ministeriale… e poi avverti la necessità di raccogliere il numero più alto di soggetti per creare un’alleanza che sia la più vasta possibile. In questo senso il nostro appello fu accolto immediatamente da monsignor Comastri. Il quale non solo dal pulpito della chiesa di San Leopoldo a Follonica fece un invettiva contro l’ENI che non usciva allo scoperto e che non voleva intendere nessun tipo di apertura, ma fu insieme ai lavoratori sul palco, prese la parola in piazza della Repubblica a Massa Marittima, scolpì nella mente di chi lo ascoltava parole di fuoco contro chi era latitante e non veniva a quella concertazione di cui dicevo e che fu fondamentale alla soluzione.

Angelo Scola

Lo stesso Angelo Scola, vescovo a Grosseto: io ricordo che lo avvicinai e gli chiesi di venire la domenica a dire la messa nella sala mensa dell’Eurovinil. Fu, quella mattina, un momento di partecipazione entusiasmante, che ancora oggi ricordo con vivo affetto, perché le lavoratrici portarono i figli, le famiglie, quella sala si riempì, era presente anche la direzione. Questo volle significare un momento di rappacificazione: fu l’episodio in cui vennero deposte le armi della conflittualità e si aprì (proprio su indicazione di questo vescovo, Angelo Scola, che aveva ed ha ancora oggi a cuore le sorti del mondo operaio) l’opportunità di trovare le soluzioni possibili. Per l’Eurovinil furono quelle dell’abbandono da parte della proprietà e del reperimento di una via d’uscita attraverso un’altra proprietà: nuovi investimenti che altri soggetti avevano in animo di portare. E’ giusto sottolineare che la presenza dei vescovi è stata attiva, forte, mai all’insegna del “tanto per fare”. Non è mai stata così. Io ho assistito personalmente alle telefonate di questi vescovi presso ministri o, addirittura, presso il presidente del consiglio. Ricordo, in particolare, una telefonata di monsignor Comastri all’allora presidente del consiglio Giulio Andreotti che gli affidava le sorti di questa Maremma che sempre più stava andando in malora, che stava perdendo quella coesione sociale necessaria alla civiltà ed all’emancipazione auspicabili.

 

Nella “visione armonica” del mondo del lavoro propria della compagine cattolica il diritto allo sciopero è ammesso ma di sicuro non incoraggiato. Perché? E cosa si intende per visione armonica?

Paolo VI

Una “visione armonica”. Che è poi anche il dilemma che a lungo ha diviso i cattolici, la famosa “terza via”: né capitalismo, né collettivismo. Armonia: cercare di portare soluzioni che siano dettate non da ragioni di parte ma generali. Questa è la terza via che ha sempre sostenuto e ipotizzato Giovanni Paolo II e che, a mio avviso, si può realizzare solo e soltanto attraverso la concertazione, l’esperienza che ho menzionato poco fa e che è stata la base per la soluzione dei problemi che avevamo nel settore minerario e chimico all’inizio degli anni 90 nella nostra provincia. Ma voglio dirti di più sul valore e sulla attualità della Laborem Exercens: nel 1968, papa Paolo VI, Giovanni Battista Montini, un uomo dalla figura esile e dall’apparenza sofferente, decide di trascorrere la notte di Natale a Taranto nel cantiere siderurgico. E Lì dice, rivolto ai lavoratori: «Noi facciamo fatica a parlarvi, avvertiamo la difficoltà di farci capire, il vostro mondo e il nostro sono estranei, noi uomini di chiesa ci sentiamo staccati dalla vostra realtà.» E lo diceva assumendo una postura sofferente e angosciata: era proprio la sua angoscia: «Perché noi non riusciamo ad entrare in contatto con voi?» Anni dopo, nel 1981, con la pubblicazione della Laborem Exercens, papa Wojtyla ci dà gli elementi e gli strumenti per poter intervenire in queste questioni. I due mondi non appaiono più come separati e staccati; questo perché si entra nel merito delle questioni che solleva il lavoro. Con coraggio, Giovanni Paolo II dice che lo sciopero, quando questo non ha fini politici e non ha come obiettivo ribaltare i governi ma è indirizzato alla realizzazione e all’accoglimento delle condizioni necessarie alla vita degli uomini e delle donne, è giustificato. Come pure dice che quando gli uomini e le donne decidono di organizzarsi in sindacati, non in senso corporativo ma aperti al contributo di tutti, quando non fanno politica (per essere chiari), questi sono bene accetti. Ovviamente, è opportuno leggere la Laborem Exercens attraverso quella che era l’attualità di allora: non a caso in quegli anni in Polonia stava succedendo tutto quello che sappiamo e che è scaturito anche attraverso Solidarność.

Lech Walesa

Però la Laborem Exercens riesce a dare gli strumenti per intervenire nelle questioni sociali, economiche, educative, le stesse nelle quali il nostro vescovo Agostinelli invitava ad entrare nel merito, smettendo il ruolo di spettatori per iniziare ad essere protagonisti e finire di giocare a fare i cristiani che godono delle belle liturgie e delle rievocazioni. L’attualità di san Lorenzo, che era un giovane, sta proprio nel coraggio e nella fermezza dello stare dentro alle questioni, nell’essere vicino a chi vive i problemi in maniera diretta e per questo soffre. Questioni che hanno ripercussioni drammatiche, basti pensare alla condizione del mondo dei giovani: ci si rende conto che stare fermi è una complicità triste.

 

Domanda di rito: hai in progetto altre pubblicazioni per il prossimo futuro?

la pirite

Sì, sto lavorando ad un libro, anche questo di natura storica. Riguarderà i cinquant’anni della presenza industriale nell’area del Casone. Il primo dicembre 1962 in quell’area parte l’impianto per la produzione di acido solforico. Oggi a distanza di cinquant’anni sto cercando di andarlo a rivisitare e di mettere in evidenza come quella fabbrica, che ha avuto migliaia di dipendenti, abbia di fatto alimentato intorno a sé la tradizione, la cultura, l’essenza sociale di un territorio. Non ci dobbiamo dimenticare che Follonica in quegli anni faceva pochissimi abitanti, era un centro che cercava di crescere attraverso il turismo ma aveva capito che non bastava. Non a caso nel 1959 il consiglio comunale del comune di Follonica vota a maggioranza un ordine del giorno dove si chiede al ministro dell’industria ( Emilio Colombondr) di raccomandarsi presso la Montecatini perché a Scarlino fosse costruita una fabbrica per la trasformazione della pirite, il minerale che si estraeva nelle miniere di Gavorrano, Niccioleta e Boccheggiano. Lo chiedono con forza e con vigore perché sanno che quella è l’unica opportunità possibile per la tenuta della coesione sociale dei propri cittadini. Il corpo sociale di un territorio che altrimenti sarebbe stato destinato a trasferirsi altrove. Attorno a questo stabilimento un territorio cresce nelle dimensioni e nella qualità che oggi conosciamo. Non è un caso che Follonica sia il primo comune della provincia (dopo Grosseto) per dinamicità, per attività, per abitanti. Un comune operoso che è riuscito a creare un equilibrio fra industria e turismo: credo che questa sia una cosa importante da studiare, da approfondire e da proporre a coloro che sperimentano la necessità di elaborare delle scelte per il proprio futuro.

[Massimiliano Cavallo]

Silvano Polvani è nato ad Arezzo nel 1953, vive a Gavorrano, è sposato ed ha due figli.
Dal 1977 al 2010 è stato dirigente della CGIL di Grosseto come segretario provinciale dei lavoratori metalmeccanici, chimici e minatori. La sua attività sindacale è stata segnata dalle significative vertenze provinciali quali quella con l’ENI per la chiusura delle miniere di Niccioleta e Campiano, le vertenze nell’area del Casone con la Nuova Solmine, Huntsman Tioxide, le ditte appaltatrici, le vertenze Rimin, Eurovinil, Sitoco e Sipe Nobel.
Attualmente lavora a Grosseto presso l’ente bilaterale FIADA.
Esperto di storia locale è spesso chiamato in qualità di relatore a convegni regionali e nazionali che hanno al centro la memoria e la storia dei minatori.
Ha al suo attivo, sempre sul tema delle miniere e dei minatori, numerosi interventi in televisioni, riviste e giornali locali e nazionali.
Ha pubblicato i volumi: Sicurezza e prevenzione, La vertenza ENI, L’industria chimica del Casone, Miniere e Minatori, Cento anni del sindacato minatori, Fonditori tornitori e… minatori nella città di Follonica,  Lavoro e libertà alla miniera di Gavorrano, Il germoglio dello Statuto dei Lavoratori, Com’era rossa la mia terra (raccolta di racconti).

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