Nodi di fer nemico e non d’amante

Tommaso Diotallevi è un commesso quasi quarantenne, di buona cultura e di maniere affabili, anche se all’occhio di un cliente più smaliziato non può certo sfuggire quell’espressione ostentatamente mistica che getta una luce inquietante sulla sua persona. Sì, perché se è vero che Tommaso è stato assunto per vendere articoli religiosi, quel suo modo di gesticolare un po’allucinato (come se predicasse da un pulpito) e quel suo eloquio severo (decisamente insolito per un giovane della sua età) fanno davvero uno strano effetto. Chi lo conosce dice che dipende dalla lunga frequentazione con gli ambienti ecclesiastici. Infatti, oltre ad aver studiato dai salesiani e ad essere impegnato come catechista, Tommaso ha uno zio prete e una mamma estremamente devota. Oltre che iperprotettiva.

Il negozio di articoli religiosi si trova a due passi da piazza Duomo, in una strada molto frequentata, ed è segnalato da una vistosa ma austera insegna che non lascia alcun dubbio sulla natura delle merce venduta: La reliquia. Sia chiaro, non ci troverete mai ossa di santi e nemmeno frammenti dei loro abiti. Vi dovrete accontentare di quadri, libri, abiti liturgici,rosari, santini e di una vasta gamma di ex voto.

Inserito in una scenografia perfettamente in sintonia con la sua severa spiritualità, il nostro pio commesso ci fa un figurone. A seconda delle giornate, i passanti lo possono intravedere dietro il banco, asceticamente immerso in una delle sue letture edificanti o in cima allo scaleo mentre, estaticamente proteso verso il cielo, schiera ordinatamente sullo scaffale candele e lumini di ogni foggia e dimensione.

La sua potrebbe essere un’esistenza tutto sommato serena se, da qualche tempo, la sua integrità morale non fosse messa a dura prova da un presenza tentatrice, che, come nelle migliori tradizioni bibliche, ha un aspetto tutt’altro che demoniaco. Eh sì, sembra che, nonostante i tempi ormai laicizzati e ultratecnologici, il Signore delle Tenebre non abbia ancora rinunciato alle sue classiche e ormai sperimentate tecniche di seduzione. Prima fra tutte quella di insinuarsi in un corpo femminile giovane e attraente. Nel nostro caso si tratta di Camilla Saracini, la commessa che il titolare del negozio di fronte, specializzato in lingerie di marca, ha assunto da poco nella speranza di fronteggiare la crisi del settore. L’insegna, sfavillante e maliziosa, è nuova di zecca ed è tutto un programma: Vizi e capricci. Come dire … Nomen Omen o, se preferite, Nomina sunt consequentia rerum, come ha osservato con riprovazione Tommaso, scomodando niente meno che Giustiniano. Sì, perché il nostro venditore di articoli sacri ha fatto il liceo classico e traduce i testi antichi come se facesse le parole incrociate.

Ora, nonostante la ferrea volontà di resistere a ogni tentazione peccaminosa, è prevedibile che, dinanzi alle ostentate grazie di Camilla, anche la virtù adamantina di Tommaso, sia prima o poi inesorabilmente destinata a vacillare. E siccome in tempo di recessione economica le vendite sono sensibilmente calate, è inevitabile che, per spezzare la monotonia delle lunghe giornate senza clienti, la ragazza si affacci troppo spesso sulla soglia del negozio a osservare il passeggio, a scambiare quattro chiacchiere con il collega della rivendita di tabacchi e a mettere in mostra lo scollo con le tette proterve, in mezzo alle quali svolazza inquietante il tatuaggio di una farfalla.

«Con il commesso del negozio dei preti non si può scambiare nemmeno il buongiorno ! Tutt’al più qualche occhiatina hard … – pensa Camilla – E non tanto perché è peccato quanto perché quello lì se la tira davvero troppo.»

In poche parole, secondo il giudizio della nostra commessa, Tommaso ha tutta l’aria di uno che non apprezza le grazie femminili. O – come ha osservato la sua amica Marika – gli piacciono troppo e quindi non se ne vuol fare accorgere.»

Ci vuole poco a capire che Camilla fa il doppio gioco. E’ così evidente che se n’è accorta anche la signora Clara, la titolare della tappezzeria in angolo, la quale, spettegolando a mezza voce con Enzo, il magazziniere della farmacia comunale, ha osservato: « Quella, te lo dico io, fa proprio Mamma, Cecco mi tocca! E, quando la mamma va via … Cecco, toccami che la mamma non c’è!»

«E che vorrebbe dire?» domanda malizioso il magazziniere che non è toscano ma ha intuito il senso della storiella popolare.

«Vorrebbe dire che fa di tutto per provocarlo. Insomma gliela fa vedere e poi non gliela dà!»

La signora Clara, da navigata donna di mondo, ha capito perfettamente la situazione: nell’animo integerrimo ma turbato di Tommaso incomincia a farsi strada un sentimento ambiguo, fatto di attrazione e di repulsione al tempo stesso. Un sentimento che qualcuno chiamerebbe senza tante perifrasi semplicemente amore ma che lui preferisce definire fetore della lussuria. Tanto per usare le parole di un saggio uomo di Chiesa, Lotario di Segni, la cui opera sul Disprezzo del mondo ha esposto in vetrina, dopo averla letta nel corso di una sola nottata.

 

II

Che giornata! Non vedo l’ora che finisca questa oscena mascherata e la Quaresima porti un po’ di espiazione e di clienti. Oggi non ho venduto neanche un rosario e, come se non bastasse, tutte le volte che mi affacciavo sulla porta, la visione peccaminosa di quella femmina discinta mi distoglieva lo spirito dai sani piaceri spirituali. Coraggio, fra pochi giorni finirà anche questo dannato Carnevale!

Intanto mi consolerò con la lettura del mio amico Torquato, l’unico con il quale riesca a sentirmi veramente in sintonia. Certe sere, quando mi abbandono alla tormentata musicalità della sua ottava, mi identifico a tal punto nei suoi personaggi che dimentico anche lo squallore dei tempi e mi pare di combattere a fianco di Goffredo per liberare il Santo Sepolcro. Ma il mio personaggio preferito rimane Tancredi. Eh sì, come vorrei assomigliargli almeno un po’ … Se chiudo gli occhi, mi pare di vedermelo qui davanti che avanza in mezzo alle tenebre, pronto a sfidare l’ignoto guerriero nemico che, dopo aver incendiato insieme a un complice la torre mobile dei Crociati, vaga assetato di sangue fuori dalle mura di Gerusalemme. Lui non lo sa ma dentro l’armatura del suo antagonista si nasconde niente meno che … Clorinda! Dio mio, che eccitazione questi versi:

Vuol ne l’armi provarla: un uom la stima

degno a cui sua virtù si paragone.

Va girando colei l’alpestre cima

verso altra porta, ove d’entrar dispone.

Segue egli impetuoso, onde assai prima

che giunga, in guisa avien che d’armi suone,

ch’ ella si volge e grida: – O tu che porte,

che corri sì? – Risponde: – E guerra e morte.

Sublime, Torquato, così si fa con le donne! D’altra parte, lo dice anche Sant’Odilone, in un opuscolo che sta sul terzo scaffale a sinistra negozio, che le femmine sono il “vaso della sporcizia”. Esclusa la mamma, naturalmente. Ora, è vero che Tancredi ignora che dentro l’armatura non ci sta un infedele qualsiasi ma la donna di cui è innamorato… Che volete, nessuno è perfetto. Ma, secondo me, il nostro eroe è giustificato perché il suo amore per la guerriera saracena nasce dal desiderio di convertirla alla vera fede. O almeno così sembra. Lo spero vivamente per lui.

Ma – dico io – come avrà fatto Torquato a esprimere così bene il suo intimo tormento? Ah, come avrei voluto vivere anch’io ai tempi della Controriforma per dare una lezione agli Eretici e ai Turchi! Volete mettere l’ebbrezza di una bella chiacchierata con un sadico Inquisitore!?

Purtroppo sono nato in tempi assai poco eroici e, oltre tutto, secolarizzati e macchiati dal più perverso edonismo. Ahimè, dove sono finiti quei bei sensi di colpa di una volta? Quei ruvidi cilici che martoriavano il corpo per salvare l’anima?

Sì, mamma, vengo subito … lo so che è l’ora di dire il rosario. Solo un momento e sono da te.

 

III

È il Martedì Grasso e le strade sono ingombre di coriandoli e di stelle filanti. Uno spettacolo veramente osceno per uno come Tommaso, che nel suo negozio spolvera in continuazione e che non tollera in alcun modo che i clienti tocchino la merce, sconvolgendo un ordine che rispecchia la superiore armonia del cosmo. Un’armonia che, secondo lui, nessuno deve mettere in discussione. Già, perché nessuna cosa è messa a caso ma è retta da un giusto ordinamento, come afferma San Giovanni Damasceno in quel bel volume rilegato in rosso che non si riesce a vendere perché costa troppo.

Insomma, Tommaso non vede proprio l’ora che sulla città profana cali finalmente il Mercoledì delle ceneri e che ai bagordi peccaminosi seguano il digiuno e l’espiazione. Anche quella svergognata davanti, prima o poi, dovrà pentirsi della sua lascivia e cambiare quegli sguardi vogliosi in casta adorazione di qualcosa di più sacro di una mutanda con il pizzo o di reggiseno imbottito. Ogni mattina, subito dopo colazione, la vista di quella vetrina perversa suscita in Tommaso un senso di repulsione che gli dà il voltastomaco, vanificando gli effetti benefici delle Marie inzuppate nel latte con l’orzo che la mamma gli prepara appena sveglio fin da quando era bambino.

Camilla è visibilmente eccitata. Entra ed esce dal negozio, parlando in continuazione al cellulare con la sua amica Marika: « Come te lo devo dire che non faccio in tempo a tornare a casa per vestirmi? Prima delle 8 non posso chiudere il negozio. E mettiamo poi che mi entri un cliente. Mica lo posso buttare fuori perché devo andare alla festa di Carnevale! Senti, Marika, facciamo una bella cosa. Tu ti vesti prima e vieni a prendermi direttamente in negozio. Così non si perde tempo .» Dall’altra parte, Marika non sembra convinta, tanto che Camilla deve perdere un altro buon quarto d’ora per spiegarle i dettagli organizzativi: « Guarda che non c’è nessun problema. Io il costume l’ho portato. Mi vesto nel retrobottega, mi trucco e in quatto e quattr’otto sono pronta. In piazza S.Croce ci andiamo a piedi e poi per andare a casa di Ale non ci sono problemi. Vedrai che un passaggio si trova di sicuro …»

Ti pareva che quella Semiramide depravata rinunciasse a celebrare una festa tanto profana? Tommaso ha sentito tutto ed è sinceramente disgustato. Ma non può fare a meno di sbirciare lo scollo della commessa: quella farfallina è sicuramente un emblema del Demonio, altrimenti perché l’occhio del nostro commesso finisce sempre lì? Si sa, le armi dell’ Angelo Ribelle, anche se sono poco moderne da un punto di vista tecnologico, hanno sempre la loro maledetta efficacia!

Finalmente si chiude il bandone. Camilla non sta più nella pelle all’idea di festeggiare il Carnevale. È una festa che le è sempre piaciuta fin da bambina, non solo perché, una volta tanto, permette di infrangere e di sovvertire le regole comuni ma anche perché attraverso il gioco del travestimento si può assaporare il sottile piacere di cambiare identità. Oddio, quest’anno il costume che indosserà è un tantino eccentrico. E, se si vuole, anche un po’ troppo ingombrante. Ma non c’era altra scelta: prendere o lasciare! Glielo aveva detto alla Marika e alla Simo di prenotarle per tempo il vestito da Lady Gaga ma loro, svampite come sono, hanno aspettato all’ultimo momento e per poco Camilla non ha rischiato di doversi mascherare da … Pierrot. Per fortuna era rimasto quel costume teatrale che nessuno aveva notato. Insomma, quello che importa è festeggiare e se ci scappa qualche avventura fuori programma tanto meglio.

«Uffa … pensa la ragazza in preda a una crisi d’ansia- Una volta tanto che voglio chiudere in anticipo, arriva il solito cliente ritardatario! E’ mai possibile che uno debba regalare la guêpière nera sado-maso all’amante proprio stasera? Ma perché non va a rompere le scatole al mio dirimpettaio, che è tutto il pomeriggio che non batte un chiodo? Quasi quasi gli consiglio di dare un’occhiata a quei bei vestiti da monaca esposti in vetrina. A me sembrano piuttosto sexy! L’altro giorno al telegiornale ho sentito dire che, negli ambienti altolocati, vanno molto di moda …»

È tutto il pomeriggio che Tommaso avverte una specie di fremito lungo la schiena. Un fremito che non si ferma lì ma che continua a tormentarlo raggiungendo le parti più recondite e inconfessabili del corpo. Ma non è il solito senso di repulsione che lo coglie ogni volta che una femmina lasciva tenta la sua castità. E’ qualcosa di più struggente e –orrore! quasi allettante. L’unica cosa da fare è smetterla di affacciarsi alla porta e rinchiudersi nel retrobottega fino all’ora di chiusura. Tanto di clienti non ne vengono più e, se entra qualcuno, lui è avvertito dalla campana che suona a morto, collegata alla maniglia della porta. Come dirlo. Tommaso non riesce a distogliere lo sguardo da quella lussuriosa in pantacollant, che sembra lo faccia di proposito a dimenarsi e a civettare con quel dannato cellulare. E che dire di quella farfallaccia impenitente che continua a provocarlo da quell’insenatura che odora di zolfo?

«Non vedo l’ora di tornare a casa e di sedermi a tavola. Speriamo che la mamma abbia preparato qualcosa di leggero. Mi sono raccomandato che per stasera non cucini carne. Ho letto su una rivista che eccita il sistema endocrino. Pare che le ghiandole che regolano gli istinti naturali della mente, se sovraeccitate, impediscano la meditazione. Sarà meglio prepararsi al digiuno quaresimale con un piatto di semolino. Naturalmente senza parmigiano.»

Alle 8 in punto, proprio mentre Tommaso chiude il lucchetto del bandone, Marika arriva trafelata, con addosso il vestito da hooligan del Chelsea. Inutile chiederle le motivazioni di una scelta così inusuale. Gliel’ha consigliata suo cugino, che è un intenditore e che ha già sperimentato con notevole successo questo travestimento durante l’ultimo rave party di Montopoli Val d’ Arno.

«Sbrigati, dai! La Simo è già in S.Croce con le birre. »

«Un momento …- urla Camilla dal retrobottega- questa dannata armatura pesa almeno un paio di tonnellate. Non so proprio come farò a muovermi.»

«Guarda un po’ se ha la cintura di castità incorporata. – replica ridacchiando l’amica – Sarebbe una bella seccatura, no?»

 

IV

Il semolino è altamente digeribile e di solito non alimenta insani appetiti ma stasera non riesco a trovare pace. Sarà per gli schiamazzi che provengono dalla strada o per il volume assordante del televisore al piano di sotto ma stasera non riesco in alcun modo a concentrarmi e a distogliere la mente dalle squallide preoccupazioni mondane. L’unico rimedio a tanta inquietudine è la lettura del mio poema preferito. Quando l’ansia assedia lo spirito solo “La Gerusalemme liberata” può lenirne i tormenti. E’ vero che il piacere può essere pericoloso ma che male c’è ad assaporare i versi sublimi di un poema permeato di una così vivo senso religioso? Non lo diceva anche Torquato stesso che “S’ei piace, ei lice?” Dunque, assaporiamo qualche ottava, come medicamento salvifico. Tanto per digerire il disgusto del vivere …

“Guerra e morte avrai;” disse “io non rifiuto

darlati, se la cerchi”, e ferma attende.

Non vuol Tancredi, che pedon veduto

ha il suo nemico, usar cavallo, e scende.

E impugna l’uno e l’altro il ferro acuto,

ed aguzza l’orgoglio e l’ire accende;

e vansi a ritrovar non altrimenti

che duo tori gelosi e d’ira ardenti.

Tancredi, sei un mito! Così si risponde alle svergognate. Suonagliele di santa ragione a quella Clorinda, che, oltre ad essere un’infedele, va in giro armata come un uomo a vomitare minacce!»

Ma eccoci al punto cruciale: il duello! Qui sì che c’è da entusiasmarsi. Naturalmente in maniera onesta e badando bene a non offendere il comune senso del pudore.

Non schivar, non parar, non ritirarsi

voglion costor, né qui destrezza ha parte.

Non danno i colpi or finti, or pieni, or scarsi:

toglie l’ombra e ’l furor l’uso de l’arte.

Odi le spade orribilmente urtarsi

a mezzo il ferro, il piè d’orma non parte;

sempre è il piè fermo e la man sempre ’n moto,

né scende taglio in van, né punta a vòto.

Io sono sostanzialmente un mite. Uno che sviene anche a farsi le analisi del sangue. Ma, quando declamo questi versi, non posso fare a meno di … eccitarmi. Da un punto di vista poetico, naturalmente.

Questa è la voce della mamma che mi richiama bruscamente alla realtà, facendo svanire la magia dei versi: «Tommaso, me lo faresti il solito piacere? Ci sarebbe da scendere in strada a buttare la spazzatura nel cassonetto. Io stasera non me la sento. Tutti questi screanzati con le maschere che vociano per la strada mi fanno una gran paura. Dio ci liberi! Non m’abbiano a dare una spinta e a rompermi un femore!»

«Non ti preoccupare, mamma. Ci penso io alla spazzatura!»

Va bene, per la mamma questo ed altro! Come l’eroico Tancredi si appresta a combattere in un conturbante corpo a corpo con la spietata Clorinda, io mi avvio, con animo indomito, ad affrontare le pericolose insidie che si celano nell’oscura notte di Carnevale.

 

IV

«Accidenti, Camilla! Ma lo sai che fai quasi paura? A incontrarti in un vicolo buio c’è da scambiarti per un fantasma …» Marika è sinceramente ammirata e contempla la corazza foderata di alluminio nella quale è rinchiusa la sua amica.

«Altro che fantasma! Voglio vedere come faccio a ballare con questo frigorifero addosso. E dire che stasera c’è anche Max e io un pensierino su di lui ce l’avevo anche fatto ma, chiusa qua dentro, non mi vedrà neanche .»

«Anzi, io scommetto che ti noterà subito.»

«Sì e poi? Come faccio a essere carina con quest’affare addosso? Non mi si vedono nemmeno gli occhi!»

«Uffa, come sei difficile! Con il costume da Pierrot avresti fatto prima a spogliarti ma vuoi mettere l’originalità? E poi, se fai più fatica a toglierti di dosso codesta corazza, lo ecciti di più, no?»

Camilla non ne è convinta ma ormai c’è poco da fare. Bisogna stare al gioco e, nonostante il peso dell’armatura, cercherà di divertirsi.

Le due amiche si avviano verso piazza S.Croce, incrociando qualche passante frettoloso e gruppi di ragazzi schiamazzanti pronti alla festa. Un vento dispettoso agita le piume del pennacchio che sta sul cimiero di Camilla, mentre Marika non fa altro che riavvolgere sul palo l’ingombrante striscione degli insulti alla squadra rivale. Le due molotov di plastica che tiene in tasca le danno un certo fastidio ma sono parte integrante della mascherata e non le può certo abbandonare.

«Sei sicura che sia meglio passare da questo vicolo? – chiede Marika esitante -E’ buio e non c’è nessuno a giro…»

«Tanto meglio. Non mi esalta l’idea di farmi vedere vestita da Mazinga! »

«E chi vuoi che ti riconosca conciata così? Il noleggiatore ci ha spiegato che il tuo è il costume di un personaggio importante. Uno o una – non ho capito bene se è un uomo o una donna- che si trova in un’opera importante. Sai, una di quelle storie dove si parla di guerra, di amore e di avventura. Insomma, una specie di fiction antica. Io non me ne intendo ma, se alla festa c’è qualcuno che ha studiato, magari ti sa spiegare che personaggio è…»

«Marika, guarda che quell’ombra ci segue da un paio di minuti. Per piacere, vedi di accelerare il passo.»

«È una parola, con tutti questi aggeggi, è già assai che riesca a camminare.»

«Non fare l’esagerata! Per uno striscione, un paio di spranghe e qualche bomba incendiaria, che vuoi che sia? Pensa a me, piuttosto! Questo spadone mi ha già slogato il polso. Meno male che ho dimenticato la lancia in negozio.»

«Ehi, ma si può sapere che cosa vuole quello lì? Attenta Camilla, mi sa che è fatto come un tacchino …»

«Aiutooo … Che diavolo fai, fermatiiiiiiii ……»

 

V

Ah Torquato, Torquato … Come capisco il tuo furore, segregato come un leone in gabbia in quella sordida cella dell’Ospedale di S.Anna! Ora che hanno rinchiuso anche me, posso finalmente condividere i tuoi incubi e le tue allucinazioni. Certo, devo ammettere che sono stato più fortunato di te perché mi hanno rinchiuso in una stanza piccola ma pulita, con tanto di bagno personale. Se non fosse per quell’infermiera che sembra un corazziere e che mi buca le braccia ogni mezz’ora, potrei anche pensare di essere in albergo. Ora, dico io, il duca Alfonso sarà stato poco carino con te a farti rinchiudere ma anche questi psichiatri ti assicuro che non scherzano. Ho sentito il primario che diceva alla mamma che devono sedarmi, altrimenti sono pericoloso. Tu che ormai mi conosci, dimmi la verità: ti sembro forse un tipo pericoloso? Ti giuro, Torquato, non ho mai fatto del male a una mosca! Oddio, ripensandoci meglio … a una mosca no ma a una farfalla sì!

Sfido io, mi ha provocato! Tu solo puoi capirmi, visto che hai voluto che Tancredi ferisse a morte Clorinda in nome di un interesse superiore.

Tre volte il cavalier la donna stringe,

con le robuste braccia, ed altrettante

da que’ nodi tenaci ella si scinge,

nodi di fer nemico e non d’amante.

Tornano al ferro, e l’uno e l’altro il tinge

con molte piaghe; e stanco ed anelante

e questi e quegli al fin pur si ritira,

e dopo lungo faticar respira.

Ti confesso che, quando l’ho vista avanzare armata fino ai denti in quel vicolo buio, non ci ho visto più. E’ stato come se una forza inarrestabile mi spingesse a compiere la mia missione. Mi sono avvicinato e l’ho sfidata. Con il cuore che mi batteva all’impazzata e in preda a un fremito selvaggio che mi scuoteva le membra, l’ho aggredita, colpendola più volte con tutte le mie forze. Così è iniziato il duello fatale.

L’un l’altro guarda, e del suo corpo essangue

su ’l pomo de la spada appoggia il peso.

Già de l’ultima stella il raggio langue

al primo albor ch’è in oriente acceso.

Vede Tancredi in maggior copia il sangue

del suo nemico, e sé non tanto offeso.

Ne gode e superbisce. Oh nostra folle

mente ch’ogn’aura di fortuna estolle!

Forse se la sua amica non si fosse messa a urlare come un maiale scannato, la mia ira si sarebbe placata. Invece, di fronte alla reazione isterica di quelle due svergognate, l’impulso incontenibile ha avuto la meglio sulla ragione.

Torna l’ira ne’ cori, e li trasporta,

benché debili in guerra. Oh fera pugna,

u’ l’arte in bando, u’ già la forza è morta,

ove, in vece, d’entrambi il furor pugna!

Oh che sanguigna e spaziosa porta

fa l’una e l’altra spada, ovunque giugna,

ne l’arme e ne le carni! e se la vita

non esce, sdegno tienla al petto unita.

Lo sai anche tu, Torquato, che quando scatta quel certo istinto, non ci si può più controllare. Come quella

volta che ti scagliasti con il coltello contro quel servo spione…

Ma ecco omai l’ora fatale è giunta

che ’l viver di Clorinda al suo fin deve.

Spinge egli il ferro nel bel sen di punta

che vi s’immerge e ’l sangue avido beve;

e la veste, che d’or vago trapunta

le mammelle stringea tenera e leve,

l’empie d’un caldo fiume. Ella già sente

morirsi, e ’l piè le manca egro e languente.

Capisci? A quel punto come avrei potuto tirami indietro? Una voce dall’alto ha guidato la mia mano. Così l’ho colpita più volte con il tagliacarte che mi era rimasto provvidenzialmente in tasca. E più quella urlava e più io infierivo su quella corazza che mandava bagliori osceni sotto il riflesso della luna. Ma è stato quando l’alluminio si è squarciato e la farfalla peccaminosa è spuntata fra i suoi seni ansanti che ho affondato il ferro nelle sue morbide carni lussuriose.

Poi mi ricordo solo il suono di una tromba di guerra. O forse era la sirena di un’ambulanza. Ed eccomi qui, nel reparto di psichiatria. Guardato a vista, con la mamma fuori che piange e che prega che quella svergognata guarisca presto, altrimenti la mia posizione processuale si aggrava e sono davvero nei guai. Dico io, è il caso di farla tanto lunga per un graffio? Mi dovrebbe ringraziare quella spacciatrice di mutande oscene per averle offerto l’occasione di farsi cancellare dal chirurgo quella dannata farfalla, simbolo di perversione.

A proposito, visto che ormai siamo colleghi, potresti dire a quel folletto che ti visitava spesso a S.Anna, che se continua a mettere in disordine le mie cose, finisce che prendo a coltellate pure lui?

 

Laura Vignali
tratto dal libro Rime assassine

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