Intervista a Lucio Niccolai sul libro “David Lazzaretti – il racconto della vita le parole del “profeta”” – Parte Prima

In video e in trascrizione ecco la prima parte dell’intervista a Lucio Niccolai che parla del suo libro David Lazzaretti – il racconto della vita le parole del “profeta” (la scheda del catalogo che riguarda questo libro è qui)  realizzata il 5 maggio del 2011.

Un approfondimento che aiuta a comprendere chi fosse il predicatore amiatino e perchè è stato importante non solo come espressione del suo territorio e del suo tempo.

Di questo volume si era già parlato qui.

La seconda parte dell’intervista, in lavorazione, sarà pubblicata non appena possibile.

Buona visione/lettura.

§§§

→ Quale è stata l’idea che ha fatto nascere il libro?

§

Questo libro è nato pensando di scrivere un testo che raccontasse la storia di David Lazzaretti. Un testo abbastanza divulgativo di cui in realtà c’era necessità e c’era assenza perché di testi su questo argomento ne esistono a decine, ma spesso molto dottrinari oppure molto teorici. Ci sono anche alcune biografie accurate e documentate ma non sono più in commercio: penso a quella del Lazzareschi (Eugenio Lazzareschi, David Lazzaretti. Il messia dell’Amiata, Brescia, Morcelliana, 1945), o altre, quella del Fatini per esempio (Giuseppe Fatini, David Lazzaretti. Il profeta dell’Amiata, Quaderni dell’amministrazione provinciale di Grosseto, 1983) o altre ancora che sono state ripubblicate anche recentemente, come quella di Arrigo Petacco (Arrigo Petacco, Il Cristo dell’Amiata. La storia di Davide Lazzaretti, Mondadori, 2003) che hanno una certa caratteristica di saggio con pretese storiche ma dove poi tutta una serie di elementi avrebbe necessitato di un approfondimento e di una revisione.

La mia idea, invece, è stata quella di utilizzare la forma del racconto. Adoperando uno stile narrativo dunque anche facilmente leggibile (ma non come un romanzo storico) che narrasse la vita di questo personaggio sicuramente interessante, decisamente particolare. La vicenda, inoltre, soffriva della necessità di essere ricontestualizzata all’interno di un certo periodo storico che è quello del Risorgimento, nel corso degli eventi che si svilupparono in quel contesto. David stesso fu un volontario e partecipò agli episodi che portarono alla conquista dell’Umbria e delle Marche, partecipò alla battaglia di Castelfidardo; morirà con una camicia rossa. Si era all’interno di un momento nel quale le vicende della Chiesa e la questione romana avevano un forte riflesso anche sulle popolazioni locali.

L’idea dunque è stata di costruire un racconto della vita di David ma, nel contempo, per non adoperare quell’approccio che caratterizzava un po’ tutti i testi di storia su David Lazzaretti scritti precedentemente, evitando di fornire commenti e giudizi sul personaggio e piuttosto affidando via via la parola a lui stesso.

Questo perché mi ero accorto (e su questo è sufficiente una breve verifica per chi fosse interessato all’argomento) che in generale si parlava e si parla parecchio di David Lazzaretti, su di lui si danno molti giudizi, però poi quello che lui stesso diceva o scriveva non appare quasi mai se non per frammenti (o cose di questo tipo).

Frammenti che per lo più soffrono di decontestualizzazione e vengono usati per fornire elementi utili a sostenere una critica o un giudizio. Io ho voluto raccontare la storia di Lazzaretti fuori da un’ottica religiosa o fideistica, che non mi appartiene, ma anzi come il cammino di un uomo che ha fatto delle cose, ha realizzato una serie di esperienze importanti (come la comunità del Monte Labbro) facendogli dire direttamente ciò che pensava di se stesso attraverso i suoi discorsi. E i suoi racconti che in quegli anni, magari, andava scrivendo. Lasciando poi un piccolo spazio, in appendice del volume, per alcuni asserti e suggestioni che in qualche maniera si avventurano in linee di lavoro che personalmente non sarei in grado di seguire fino in fondo.

Va detto che ci sono degli enti preposti che potrebbero occuparsi di questi temi e non lo fanno: temi come l’analisi del linguaggio, la deduzione delle fonti e dei riferimenti che hanno formato il bagaglio culturale di Lazzaretti, i testi di riferimento dai quali attingeva. Cose di questo tipo. Ma senza entrare nel merito di quello scontro che è esistito per tutto l’arco di un secolo e che continua, purtroppo, ancora oggi: se si fosse trattato di un’immagine religiosa, se lui davvero fosse stato quello che diceva di essere.

Ma se davvero, inoltre, lui avesse detto quelle cose: c’è tutto un filone che riguarda i testi che David ci ha lasciato e che sono stati in parte ripubblicati con questo libro. E’ necessario, infatti, fare i conti anche con un problema filologico: i testi sono proprio i suoi o c’è stato qualcuno che ci ha messo le mani come Filippo Imperiuzzi (uno dei seguaci più devoti – ndr)?

Se però ci si prende la briga di leggere le carte del processo di inquisizione di Roma, ad esempio, si ritrova la scrittura di Lazzaretti e si tratta di una scrittura che va in qualche maniera decifrata sillaba per sillaba. Io, invece, ho avuto l’impressione che a volte ci sia stata una tendenza a interpretare quello che probabilmente David voleva significare; in questo senso il rischio di forzare un po’ la mano è stato corso.

Questa preoccupazione era già stata messa in evidenza dal curatore di un libro sulle visioni di Lazzaretti dell’inizio del ‘900 dell’editore Carruba ma soprattutto dalla nipote di David che è Anna Innocenti Periccioli.
Nel mio caso, ho evitato di dare giudizi sull’aspetto religioso o profetico o sulla “missione”.

In un certo senso Lazzaretti si proclama discendente diretto di Gesù? [pag. 115 del libro, riportato da Tommencioni: «… il settimo figlio del terzo figlio dell’uomo…»; oppure nelle Lamentazioni dove è Lazzaretti stesso a scrivere, pag. 122 del libro: «…Voi mi avete fatto conoscere lo stipite della mia famiglia, che data da più secoli; essa possiede molti trofei delle sue numerose vittorie. Io vedo ora il suo sangue disceso dal trono nella polvere, e i discendenti di questa progenie mendicare la loro vita. Dio mio, non è anche questo un martirio crudele al mio cuore?…»

 §

Su questo ci possono essere diverse chiavi di lettura. Si risale alla vicenda, abbastanza famosa, di David che durante il romitaggio successivo all’incontro con Pio IX nel convento abbandonato detto la Grotta di Sant’Angelo a Montorio Romano ha delle visioni e soprattutto ritrova delle ossa che attribuisce a un tale Pallavicino il quale sarebbe stato un suo parente. In realtà poi sembra che possa aver tratto questa ispirazione da un romanzo d’appendice che girava in quel tempo (romanzo che si può scaricare e leggere qui; una molto succinta biografia del suo autore, Giuseppe Rovani, invece, si trova quindr).

Un’altra chiave di lettura è che le cose che dice David a volte possono avere un valore metaforico, simbolico, per questo dicevo che è importante risalire alle sue fonti di ispirazione: i testi religiosi, la Bibbia e il Vangelo, che circolavano in quell’epoca, erano in latino e dalle autorità cattoliche non era accettata o permessa la lettura diretta di questi testi né, tantomeno, ne era tollerato il commento.

Avevano cominciato a circolare, dopo l’unità d’Italia, alcuni testi in italiano dei gruppi protestanti ma ignoro se queste traduzioni della Bibbia o del Vangelo abbiano avuto modo di diffondersi.

Sono sicuro però (anche perché ne ho qui una copia che apparteneva al mio bisnonno) che esistesse una volgarizzazione della storia sacra della Bibbia e del Vangelo fatta da Don Bosco, personaggio, fra l’altro, con il quale David Lazzaretti stesso ha avuto a che fare in maniera diretta. E’ possibile che David attingesse da queste fonti.

Un altro discorso merita di essere fatto per ciò che riguarda il livello culturale di David: c’è chi dice che fosse appena in grado di leggere e scrivere. Leggendo le cose che ha scritto pare proprio che non sia così, visto che si riscontrano riferimenti abbastanza colti ed eruditi. Voglio aggiungere che nelle carte processuali di Roma mi è capitato di trovare un doppio foglio protocollo, quindi otto pagine, completamente coperto di scrittura autografa fitta e minuta compilata dalla sera alla mattina dove Lazzaretti racconta la sua storia e altre cose (autografo che poi ho pubblicato su un altro libro, in trascrizione).

Non si tratta quindi della persona arretrata, il rozzo barrocciaio semianalfabeta che molte volte ci viene descritto in certi libri, ma anzi appare chiaro che David ha avuto un percorso di studio, di meditazione e di riflessione. I riferimenti che capita di incontrare nei suoi scritti sono spesso colti e indirizzati dalla storia sacra: per questo nell’appendice del mio libro dico che è gravissimo che non sia mai stato fatto uno studio rigoroso che cercasse di risalire  alle fonti letterarie, culturali, religiose etc… cui Lazzaretti attingeva per costruire il proprio bagaglio. Leggendo alcune visioni si scorgono richiami chiarissimi alla Bibbia oppure a Dante Alighieri, indizi di un qualcosa che andrebbe indagato in profondità anche perché potrebbe trattarsi di riferimenti espressi col linguaggio della metafora.

Tornando all’oggetto della domanda: si tratta di un motivo abbastanza problematico perché va ad imbroccare un versante sul quale con qualcuno è molto difficile confrontarsi perché si situa su un piano quasi di fede: «David Lazzaretti afferma che…»

A questo proposito, ci sono libri interessanti, a partire da E.J. Hobsbawm (I ribelli. Forme primitive di rivolta sociale, Einaudi, Torino, 1980) oppure Peter Worsley (La tromba suonerà. I culti millenaristici della Melanesia, Einaudi, Torino, 1977) che mettono in evidenza le ragioni per le quali in un periodo di crisi e di grandi trasformazioni, quale doveva essere quello dell’Unità d’Italia, possano verificarsi episodi di messianesimo.

Il fenomeno è stato studiato anche in altri ambiti come quello coloniale o negli Stati Uniti rispetto alle popolazioni native americane. Sicuramente nelle contrade amiatine le comunità soffrirono di una crisi profonda dopo il percorso unitario e se ne possono rintracciare vari motivi: la tassa sul macinato del 1869, la coscrizione obbligatoria contro la quale sono stati trovati numerosi canti di protesta, la riduzione delle aree poderali, mezzadrili, che ci furono proprio sul monte Labbro. Quindi è probabile che si sia vissuto un periodo di forte crisi dopo il breve periodo di entusiasmo risorgimentale accompagnato, inoltre, dall’aggressione alla Chiesa e al suo potere temporale.

Da Arcidosso, nel 1867, partirono quarantanove volontari (fra i quali due fratelli di David Lazzaretti) per l’impresa militare che andava ad aggredire Roma. Si è trattato quindi di un periodo di trasformazioni e di disillusioni molto simile a quelli descritti e studiati dai libri citati e che, in questo senso, ha probabilmente sperimentato lo sviluppo di un fenomeno che ha le caratteristiche del messianesimo.

  Per essere ascoltati è necessario poter contare sul consenso dei propri interlocutori: cade a proposito una riflessione dello storico Marc Bloch (che però si riferiva all’ambito della propaganda bellica) cui si potrebbe attribuire una qualche applicabilità alla vicenda lazzarettiana:

“Una falsa notizia nasce sempre da rappresentazioni collettive che preesistono alla sua nascita; questa solo apparentemente è fortuita, o, più precisamente, tutto ciò che in essa vi è di fortuito è l’incidente iniziale… ma la messa in moto ha luogo soltanto perché le immaginazioni sono già preparate e in silenzioso fermento… La falsa notizia è lo specchio in cui la coscienza collettiva contempla i propri lineamenti.”

In pratica si parla della diffusione e del successo di un modo di vedere le cose diverso rispetto al discorso pubblico corrente. E l’alternativa esposta non è nuova ma è solo lo sviluppo di alcuni segnali deboli ai quali alcuni spiriti particolarmente sensibili e creativi sono in grado di dare conseguenza. La zona amiatina come uno nodo di tensioni latenti e Lazzaretti come “risposta creativa” di una collettività. E’ così?    

 §

Codesta citazione di Bloch è veramente ottima e si ricongiunge perfettamente con quella riflessione che Antonio Gramsci ha fatto a proposito di David Lazzaretti. Diceva che attraverso un linguaggio di stampo religioso, l’unico che quei contadini e quegli artigiani potevano in qualche maniera assimilare (perché predisposti) il mistico amiatino si fa interprete di un bisogno, di una necessità, di un qualcosa che si declinava in vari aspetti.

Per esempio (e anche questo è strano che non sia stato oggetto di riflessione per qualcuno) la faccenda della creazione della chiesa di David Lazzaretti, dell’altare e poi della parrocchia sul monte Labbro, è un elemento di grande importanza; questo perché si trattava di un’area abbastanza popolata: è l’area sul Monte Amiata caratterizzata da poderamento e mezzadria. Già alla fine del XVIII secolo è riscontrabile una supplica da parte di quella comunità che chiede a Pietro Leopoldo che si costruisca una cappella perché tutti coloro che abitavano sul monte Labbro, per poter partecipare ad una messa, per poter prendere una comunione, dovevano andare o ad Arcidosso (se non vado errato alla chiesa di Santa Mustiola) oppure sull’altro versante verso Roccalbegna. Quindi la costruzione di questa chiesa dava la possibilità a queste comunità di poter partecipare il sabato e la domenica ai riti religiosi senza dover lasciare il lavoro; e poi c’era tutto quello che David costruisce intorno, come il convento degli eremiti… 

Per quel che riguarda l’altro aspetto sollevato dalla domanda: il mio punto di vista è quello non solo di un laico, ma anche di un non religioso e non credente. Le carte del processo a Lazzaretti non erano mai state analizzate dagli storici anche quelli più importanti che avevano fatto le prime ricerche come Lazzareschi alla metà del ‘900, perché non potevano accedere agli archivi del processo dal momento che gli atti della Santa Inquisizione sono stati resi consultabili soltanto da pochi anni. Fino ad un certo momento nessuno ha potuto avere accesso a questa documentazione. In tutti i libri di quel periodo, allora, ma fino alla ricerca che ho condotto negli archivi del Sant’Uffizio a Roma, questo processo rimane ignoto, non si sa cosa vi venne detto, se ne ignorano i contenuti e si va un po’ a tentativi.

Sono stato io il primo a trascriverli nel libro David Lazzaretti davanti al Sant’Offizio. Documenti e atti della suprema Sacra Congregazione sulla causa Lazzaretti, nel 2007 (qui la scheda di questo libro in catalogo) . Tuttavia quei documenti sono del massimo interesse perché il predicatore di Arcidosso si trova davanti ad una commissione del Sant’Offizio da solo, senza avvocato difensore. Quest’organo clericale gli sottopone alcune domande (in latino e probabilmente ci sarà stato qualcuno a tradurle) e lui si trova nella condizione di dover rispondere direttamente. Va detto che si arriverà dopo una decina di giorni di interrogatorio ad un punto di stallo nel quale l’inquisito afferma che non è più disposto a rispondere.

Ecco: questa è una documentazione della massima importanza in special modo riguardo alla famosa querelle se Lazzaretti fosse o meno in buona fede, oggettivamente, rispetto alla sua dichiarata “missione”; oppure se fosse veramente convinto di avere delle visioni. E’ in queste carte che emergono questi aspetti perché David dice alla commissione del Sant’Offizio che lo sta esaminando:

«Io sono venuto per farmi giudicare ma non per aver commesso alcunché di malvagio, bensì a chiedere a voi se tutto quello che sto facendo ma anche ciò che io vedo, sento e percepisco può avere un riconoscimento ufficiale da parte della chiesa oppure no».

Finirà che il Sant’Offizio lo giudicherà pazzo, fuori della religione etc…

L’interrogatorio è stato comunque condotto in maniera molto accurata: gli fu chiesto dove prendesse i soldi, chi fossero i suoi finanziatori, se avesse avuto rapporti con gruppi socialisti e anarchici, e cose di questo tipo. Di finanziatori ne aveva avuti e del resto spesso si trattava di clericali oppure ad esempio con Leone Du Vachat di un reazionario, un lealista che sperava nella reazione in Francia e nel il ritorno del re.

Dunque viene da chiedersi cosa sarebbe successo se Lazzaretti non si fosse indirizzato verso imprese enormi: scrivendo libri dove condannava l’azione della chiesa e scrivendone altri nei quali lui stesso si descriveva come la seconda venuta di Gesù Cristo, il nuovo Messia e cose del genere. In questo modo, pur ammettendo che magari poteva trattarsi di un linguaggio metaforico e simbolico, prestava il fianco ad accuse di eresia. Al contrario se avesse raccontato semplicemente di aver visto S. Pietro o  la Madonna è possibile che avrebbe potuto ottenere un santuario e chissà che oggi non ne avremmo parlato in tutt’altri termini, magari di tipo turistico o economico.

L’edificazione, ad esempio, di quella società comunitaria sul monte Labbro è un tentativo che viene subito bollato da un giornale cattolico come pericoloso perché socialista. E siamo proprio agli inizi delle imprese lazzarettiane, se non vado errato, intorno al 1870, dunque da subito l’ala clericale inizia a montare l’onda della paura.

[continua…]

Massimiliano Cavallo

—————————————

TITOLO:
David Lazzaretti,
il racconto della vita le parole del “profeta”

AUTORE: Lucio Niccolai

 

FORMATO: brossura
PAGINE: 180
COLLANA: Archivi riemersi
ISBN: 978 88 89836 14 8
ANNO DI PUBBLICAZIONE: 2006

PREZZO: euro 13.00

Scheda del libro

Commenti

2 commenti a “Intervista a Lucio Niccolai sul libro “David Lazzaretti – il racconto della vita le parole del “profeta”” – Parte Prima”


  1. malvina ha detto:

    articolo molto buono, complimenti. Spesso su lazzaretti si parla a sproposito è la prima volta che sento di un libro con le trascrizioni. Se non sbaglio poi e’ da poco uscito un fumetto per i-pad sullo stesso argomento. Saluti.

  2. antonio ha detto:

    lo stemma di davide lazzaretti è degli ummiti, pubblicato sul libro di stefano breccia contattismo di massa. Sarebbe interessante evidenziare la provenienza non terrestre dell’opera sociale di davide lazzaretti.

Rispondi a malvina