Intervento del Prof. Giancarlo Elia Valori alla presentazione del libro “Nil Impossibile Volenti In Nomine Domini”

Presentazione del libro Nil Impossibile Volenti In Nomine Domini di Guido Fineschi Sergardi

Intervento del Cavaliere del Lavoro Prof. Giancarlo Elia Valori
Roma, 11 dicembre 2017 – ore 18,30
Tempio di Adriano – Sala storica della CCIAA, Piazza di Pietra

 

Autorità, gentili Signore e Signori

consentitemi innanzitutto di porgere il mio vivo e sentito indirizzo di saluto a tutti Voi, unitamente ai relatori e alla moderatrice dei lavori.

Sono particolarmente lieto di trovarmi qui, in questa storica “Sala del Tempio di Adriano”, dinanzi a una platea così qualificata, per la presentazione del pregevole saggio, “Nil impossibile volenti in nomine domini”, (cioè “Nulla è impossibile a chi vuole nel nome del Signore”), redatto dall’amico Guido Fineschi Sergardi, al quale rivolgo un cordialissimo saluto, unitamente ai più vivi complimenti per i contenuti della singolare opera.

Questa lodevole iniziativa editoriale, che prosegue decisamente sul filone dell’altro volume, «La nostra controrivoluzione», è un libro di facile e gradevole lettura che illustra tutti i temi dell’attualità a 360 gradi, in cui le varie tematiche trovano spazio e corposità a significazione di come l’Autore segna, con preoccupata attenzione, l’evoluzione dei tempi in relazione alle problematiche che quotidianamente assumono una significativa evidenza in ambito politico e socioculturale.

Consistente è altresì la carrellata di argomenti diretti al superamento delle difficoltà più vistose del nostro tempo, le cui ragioni hanno il pregio di penetrare nelle coscienze di quanti desiderano una rinascita sana ed equilibrata della nostra amata Nazione.

E’ possibile quindi sottrarre l’Italia dal pendio nel quale sta precipitando ormai da oltre un ventennio?

E’ possibile capire quali sono i reali problemi e le insufficienze di tale disfacimento?

Ebbene, la risposta è certamente si, ma purché lo si voglia.

Ed è questa la sollecitazione lanciata dall’Autore: “Nulla è impossibile a chi vuole nel nome del Signore”

Cercherò, quindi, di sviluppare una riflessione attenta, senza comunque scadere in una gratuita polemica politica.

A proposito di politica, traendo spunto dalle recenti elezioni amministrative in alcune regioni, è del tutto evidente il distacco sempre più forte tra la gente e la politica.

Lo attesta il grave fenomeno della non partecipazione al voto, tanto che tra la gente comune si avverte il fastidio per la continua litigiosità smaccata dei leader politici.

E’ diffusa infatti l’impressione che il partito o lo schieramento politico siano più preoccupati di vincere le loro battaglie piuttosto che rispondere ai problemi reali del Paese e alle attese o aspettative concrete della popolazione.

E non si sottovaluti che la gente segue oggi la politica alla TV, dove si parla un linguaggio comprensibile solo agli addetti ai lavori.

Quindi, la partecipazione è unicamente fisica, ma non intellettuale.

Questa sommaria analisi indica altresì la storia altalenante del nostro Paese attraverso l’evoluzione, quasi sempre tumultuosa, degli eventi quotidiani, che rappresenta il “volto” e la “voce” d’una realtà che, peraltro, giorno dopo giorno, deteriorandosi, lascia ogni pia previsione nel limbo delle speranze disperate.

La situazione attuale del Paese, d’altra parte, è forse tra le piu` critiche degli ultimi cinquant’anni.

La crisi della rappresentanza politica e delle Istituzioni dello Stato, che si sovrappone a quella economica e sociale – generate tutte da un profondo crollo morale – si configurano come crisi di sistema che interagendo tra loro costituiscono un cocktail dall’effetto paralizzante.

In tale situazione, pero`, nessuno sembra in grado di elaborare risposte di sistema.

Tanto che nel Paese si è diffuso un preoccupante clima di assuefazione e di sfiducia, che si riflette in tutti gli ambiti.

In quello politico e istituzionale producendo un pericoloso distacco tra i cittadini e la classe politica, evidenziato – come ho testé ricordato – dal crescente astensionismo elettorale, ed un sostanziale svuotamento delle funzioni dei partiti e del Parlamento che mette di fatto in crisi la democrazia.

Tale quadro aggrava poi il sistema economico generando una spirale di aspettative negative che si auto realizzano, con una bassa inflazione o deflazione, bassi tassi di investimento, bassa crescita, alta disoccupazione, eccessiva concentrazione della ricchezza, stagnazione dei redditi da lavoro e della domanda interna, di alto debito pubblico e di tagli alla spesa, in assenza di una vera politica della spesa, che mette in crisi il patto sociale su cui si regge la democrazia; oltreché in quello sociale, generando un sentimento di diffusa sfiducia e tensione diffusa, tra le persone, le generazioni e i diversi gruppi sociali.

Un deficit di speranza che, evidentemente, è originato dalla mancanza di un progetto serio e credibile in grado di mobilitare le energie morali e materiali, che pure esistono nel nostro Paese.

E’ questa la responsabilità piu` grave dell’attuale classe dirigente: cioè la mancanza di un progetto di sistema, di una visione del futuro che non si riduca ad un breve orizzonte.

Un deficit strutturale che viene surrogato da una concezione carismatica del potere, da promesse vacue e mirabolanti, da un uso compulsivo dei nuovi mezzi di comunicazione e dall’utilizzo di slogan di facile presa sulle masse disorientate, da parte di leader che pero` mostrano qualche difficoltà a governare i grandi processi di cambiamento di cui il Paese ha bisogno.

Personaggi volitivi e in certi casi volenterosi che pero` si muovono in un vuoto politico o meglio nel vuoto della politica.

Una patologia non esclusiva dell’Italia, che sembra essersi diffusa un po’ in tutti i paesi europei, ed in particolare in quelli dell’area euro, con l’eccezione non casuale della Germania.

Quando pero` ci si trova di fronte ad una lunga crisi economica e sociale, come quella che abbiamo davanti e che stiamo vivendo, si rende necessario mettere in campo misure straordinarie che abbiano un forte impatto sulla situazione esistente per creare discontinuità.

Il che vuol dire, nel nostro caso, che è necessario un cambio di paradigma: che sul piano economico si sostanzia nell’abbandonare le ricette liberiste e la cosiddetta “politica del rigore”, ridurre le disuguaglianze tra le classi sociali e puntare con decisione su un’economia sociale di mercato; mentre sul piano politico istituzionale si invera promuovendo e realizzando una maggiore partecipazione dei cittadini alla politica a tutti i livelli.

Per risollevare il Paese occorre pero` “ricominciare dalla politica” nella società lavorando su tre fronti: quello dell’elaborazione culturale, attraverso un’opera di riforestazione di pensiero che eviti al tessuto sociale di franare verso forme di populismo più o meno cesarista; quello della formazione di nuove classi dirigenti, competenti e credibili; e quello della partecipazione politica in forma organizzata e dell’impegno in prima persona.

In altri termini, dobbiamo come cittadini riappropriarci collettivamente della democrazia, creando un presidio civile permanente per ridimensionare l’influenza delle oligarchie politiche, del potere economico e finanziario, per estirpare le malapiante del populismo e della corruzione.

E’ questa una stringente necessità storica dettata dalla realtà dei fatti, dall’impoverimento della classe media e dal declino della rappresentanza politica, che chiama in causa tutti e ciascuno e non consente di pensare che tocchi ad altri la responsabilità di fare.

Occorre dunque anche una vasta mobilitazione popolare, che coinvolga in prima persona il maggior numero possibile di cittadini per rifondare la politica secondo criteri di eticità, competenza, democrazia e giustizia economica e sociale.

Oggi, infatti, tra i problemi più urgenti da affrontare sono quelli dello sviluppo e, soprattutto, del lavoro e del futuro dei giovani.

Ma prima ancora quello di una nuova questione sociale di enormi proporzioni, accompagnata da un ampliamento dell’area della povertà, alla quale è indispensabile fornire risposte coerenti e tempestive, riducendo in maniera significativa le disuguaglianze nella distribuzione della ricchezza che impediscono l’aumento della domanda interna e una solida ripresa economica.

Le conseguenze della recessione e della stagnazione economica che si trascina ormai da oltre un ventennio, hanno ormai radicalmente alterato la capacità di spesa delle famiglie italiane.

La carenza di liquidità e la conseguente tendenza alla restrizione dei consumi hanno già proiettato i loro effetti sul settore produttivo e, di conseguenza, sulla base occupazionale, imponibile e contributiva.

Per questa ragione Papa Francesco esorta i ragazzi e i meno giovani a prepararsi adeguatamente e impegnarsi personalmente nella politica, assumendo fin dall’inizio la prospettiva del bene comune e respingendo anche ogni minima forma di corruzione.

In tale marasma appare davvero strano, se non addirittura incomprensibile, la disattenzione nei confronti degli appelli e delle esortazioni rivolte anche alla classe politica da Francesco, che non si limita alla denunzia ma indica la direttrice di marcia lungo la quale sia possibile segnare le tappe della necessaria ripresa nazionale.

Cioè, a quella classe politica, che, sia chiaro, si nutre di risentimenti, di dispettucci, di gelosie, di invidie, di personalismi sfegatati, di concorrenza sleale.

A tal proposito, il Pontefice, durante la visita a Cesena, il 1 ottobre scorso, nel terzo centenario della nascita del papa Pio VI, parlando di politica, ha detto: non sia «né serva né padrona, ma amica e collaboratrice».

Neanche «paurosa o avventata, ma responsabile, coraggiosa e prudente».

Non lasci «ai margini alcune categorie, non saccheggi e inquini le risorse naturali».

«Sappia armonizzare le legittime aspirazioni dei singoli e dei gruppi tenendo il timone ben saldo sull’interesse dell’intera cittadinanza».

Francesco ha inoltre invitato i politici a chiedere scusa quando sbagliano e ribadito con forza che la corruzione è un «tarlo» per il Paese.

Ma, a differenza dei saloni mestieranti sempre fermi sul “piove governo ladro!” senza possibilità, cioè di uno spiraglio attraverso il quale possa filtrare un consiglio, un suggerimento, una volontà, insomma, critico-costruttivo e una disponibilità concreta al contributo collaborativo a tutto spiano, il Papa non si limita alla denunzia ma indica la direttrice di marcia lungo la quale sia possibile segnare le tappe della necessaria ripresa.

Interrogativi drammatici, dunque, che non sfiorano neppure larvatamente, la volontà dei “poltronisti”, dei politici incollati ai bottoni del potere, per i quali l’interesse della comunità altro non è se non la “scusa” sterile d’un impegno che, prigioniero del calcolo e delle parole, mai riuscirà ad esprimersi come dovere ineludibile da destinare ai posteri come punto di riferimento storico da considerare esempio da imitare.

Ci vuole, dunque, uno scossone, cioè una ripresa del senso di responsabilità, perché le migliori leggi rimarranno lettera morta, se non rimandano ad una coscienza dei valori e dei doveri, se non saranno sostenute da una popolazione che si riscatti dall’indifferenza e dall’egoismo.

Bisognerebbe riportare la politica ad adottare una “strategia dei valori e dei doveri” per rendere vivile e partecipata la democrazia nei suoi aspetti etico-socio-culturali e, così, caratterizzata, porla alla base d’una serena convivenza pacifica nella giustizia, nel progresso, nel benessere.

Uno scossone, dunque. Ma chi lo darà? Chi vorrà, chi saprà offrire, in concreto, alla coscienza degli italiani la possibilità di riscattarsi dall’indifferenza e dall’egoismo?

Questo, in sostanza, è il problema! Questo, lo scoglio da superare. Come e quando?

Lo indica chiaramente questo libro di Guido Fineschi Sergardi, che inquadra la selva oscura in cui è precipitata l’Italia: un Paese che appare rallentato da una diffusa e radicata “sindrome del Palio di Siena” parafrasando il “campanile” dell’Autore – la cui regola principale è quella di impedire all’avversario di vincere, prima ancora di impegnarsi a vincere in prima persona.

Perciò si impone un pizzico di umiltà e, in particolare, un momento di attenzione per poter se non altro raffrontare, e in piena serenità, le peculiarità e le caratteristiche delle parentesi storiche di ieri e di oggi e, di conseguenza, per poter scegliere, col metro dei fatti e delle prospettive, la strada giusta e le linee programmatiche possibili e praticabili.

In questa riflessione io credo si debbano collocare i passi da compiere con la testa sul collo e senza indulgere a sentimentalismi anacronistici o a desideri assurdi.

Diversamente, il rischio di sparire dalla scena, fagocitati dai più forti, diventa, purtroppo, una malattia mortale anche perché inevitabile.

La riconciliazione, dunque, tra le “energie” cattoliche impegnate in politica va considerata come esigenza di sopravvivenza da non eludere se si vuole, in sostanza, che i valori del Cristianesimo siano posti alla base d’ogni impegno politico mirato al progresso e al benessere nella solidarietà e nella convivenza civile.

Forse è qui la vera rivoluzione di cui abbiamo bisogno, da troppo trascurata o sottovalutata, l’educazione è stata conclusa dalle classi dirigenti con una competenza tecnologica, con l’avviamento al lavoro, con le conoscenze specifiche, che sono tutte nobili cose, ma poggianti sull’argilla se prive di una solida formazione eticamente orientata e civilmente indirizzata.

Ma sembrano mancare modelli adeguati e maestri preparati allo scopo.

Anche per questo un ritorno consapevolmente critico allo spirito di quel documento di alta elaborazione progettuale che va sotto il nome di “Codice di Camaldoli” sarebbe prezioso contro il paventato rischio del declino generalizzato della nostra società, della nostra economia, della nostra politica, che hanno bisogno non di affinare le proprie tecniche, che anzi sanno sempre più di bizantino, ma di recuperare il tempo del coraggio, dell’inquietudine costruttiva, della progettualità fondata su valori meno effimeri di quelli dettati dalle mode o dalle conclamate esigenze dei più forti o dei più urlanti.

Ed a conferma di quanto preziosa sia la lezione complessiva che ci viene da questo documento, pur sempre “rivisitabile”, cito testualmente la risposta ad un’intervista che la “segretaria” e custode del Codice – Maria Luisa Paronetto Valier ha rilasciato dopo la domanda: Il Codice ci dice ancora qualcosa o è tempo di una nuova Camaldoli?: Per un nuovo Codice bisognerebbe innanzi tutto avere persone dello stesso livello. Non si tratta di riscrivere un nuovo testo, occorrerebbe invece recuperare soprattutto l’animus del documento e lo spirito che mosse quegli studiosi, che non erano interessati a scalate politiche né mossi dall’ambizione di diventare ministri o sottosegretari. Occorrerebbe avere persone come Vanoni che è stato il più coerente perché ha cercato di realizzare politicamente quanto era indicato e auspicato dal Codice di Camaldoli”.

Parole sante, che riecheggiano ancora oggi, quando la politica è ferma a ragionare di svecchiamento, mentre non sarebbe più utile guardare alla nostra giovane democrazia che, dal 1948 al 1992, pur tra mille difficoltà e insufficienze, ha portato per la prima volta l’Italia tra i sette Paesi piu` industrializzati e moderni dell’Occidente?

È proprio da questo sforzo di mediazione che sarebbe scaturita quella scommessa democratico-cristiana, vinta in età degasperiana e poi progressivamente perduta, come dolorosamente denunciava Valerio Volpini nel suo celebre Sporchi cattolici già nei primi anni settanta.

Né mi pare che oggi a più di venti anni dagli esordi di questa incompiuta seconda repubblica, i partiti politici dimostrino di essere all’altezza di quella necessaria mediazione, ammesso che la vogliano davvero.

Sembra piuttosto prevalere un deleterio mercato degli interessi di parte che si ammanta a volte di principi ripetuti ma non applicati, altre volte di cascami ideologici sideralmente lontani non solo dalla storia ma anche dall’interesse collettivo.

Perciò oggi quel documento di Camaldoli sarebbe quanto mai attuale, non solo per far riemergere almeno una certa parte di spunti di riflessione, di principi, di valori, ma anche di metodi, che possono ancora entrare in consonanza col nostro tempo della società e della politica.

Tutto ciò consentirebbe alla classe dirigenziale generale e alla politica in particolare di raccogliere e valorizzare tutte le idee, le esperienze, la potenzialità che la società, spesso anche confusamente, esprime, mettendole a sistema e, nello stesso tempo, elaborando progetti e strategie e, soprattutto, immaginando e disegnando il futuro del Paese.

E’ questo vuole essere il mio e vostro auspicio di un Paese moderno, dinamico, industrioso, retto e amministrato da uomini di primo piano, esperti e responsabili conoscitori delle esigenze da affrontare e da risolvere per rendere praticabile il cammino verso un domani migliore, in armonia con gli obiettivi di benessere e di progresso ampiamente partecipati che abbiano, cioè, la capacità di scoprire e conquistare orizzonti nuovi a sostegno di prospettive utili sotto ogni riguardo.

Grazie per l’attenzione.

Giancarlo Elia Valori

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