“Fabbriche ritrovate” su Industrial Archaeology Review

Il volume di Massimo Preite e Gabriella Maciocco in doppia lingua “Fabbriche ritrovate. Patrimonio industriale e progetto di architettura in Italia(Rediscovered Factories. Industrial Heritage and Architectural Project in Italy) è stato recensito su Industrial Archaeology Review, Volume 44, Issue 2 (2022). La traduzione dell’articolo:

È passato quasi mezzo secolo dalla pubblicazione del libro di Sherban Cantacuzino “New Uses for Old Buildings” e più di 20 anni da quando Michael Stratton ha pubblicato “Industrial Buildings: Conservation and Regeneration“. Sebbene siano stati pubblicati numerosi libri su argomenti simili, entrambe le pubblicazioni sono fondamentali per la letteratura in lingua inglese sul tema dell’edilizia industriale sul problema cruciale di un’efficace protezione del patrimonio industriale: cosa cosa fare dei luoghi produttivi che hanno perso il loro scopo originario? Da questo punto di vista, il riuso adattivo riveste un’importanza cruciale, in quanto è difficile immaginare la conservazione di numerose numerose fabbriche senza la loro conversione nuove funzioni in linea con le esigenze della società contemporanea. Questo tema è stato al centro del libro di Massimo Priete e Gabriella Maciocco, che è il risultato della mostra che ha accompagnato il Congresso TICCIH in Cile nel 2018. Tuttavia, il libro non vuole essere solo un catalogo.
Utilizzando la loro vasta conoscenza ed esperienza professionale, gli autori cercano di rispondere a una domanda fondamentale: è possibile raggiungere un equilibrio tra la volontà di preservare il patrimonio industriale e la necessità di cambiare la destinazione d’uso degli edifici? Inoltre, gli autori suggeriscono che è necessario sviluppare una nuova metodologia, diversa da quella generalmente adottata nel settore della conservazione del patrimonio. Quest’ultimo sembra essere l’assunto principale di Priete e Maciocco. A tal fine, essi passano in rassegna numerosi progetti realizzati in Italia a partire dagli anni ’80. Tuttavia, nonostante la limitazione dell’ambito di ricerca a un solo Paese, le conclusioni che si possono trarre dalla lettura del libro sono sicuramente di carattere molto più ampio e universale.
Il capitolo iniziale discute i già citati dilemmi di riutilizzo adattivo dei siti industriali dismessi e la tutela dei loro valori culturali. Il capitolo successivo è incentrato sulle fabbriche storiche, sulle loro tipologie spaziali e funzionali derivanti principalmente dalle tecnologie produttive adottate e dai progressi nelle soluzioni strutturali e nei materiali da costruzione. Questi temi di attualità sono illustrati con una serie di edifici in Italia, rappresentativi dei principali rami dell’industria italiana nel XIX e XX secolo e inseriti nel contesto internazionale degli sviluppi più avanzati, come ad esempio la catena di montaggio Ford e il suo impatto sull’organizzazione spaziale della produzione. Gli stessi edifici sono rivisitati nel terzo capitolo, che è la parte più sostanziosa del libro. In questa sezione, gli autori forniscono una visione analitica delle conversioni di fabbriche con nuovi usi contemporanei. Nella sezione di apertura i lettori forniscono alcune informazioni di base e il ragionamento strategie di riuso adattivo: dal significato storico-documentario alla sostenibilità e all’economia circolare.
Seguono le tipologie di intervento tipicamente adottate durante la riqualificazione delle vecchie fabbriche. Infine, gli edifici del patrimonio industriale descritti nel capitolo precedente sono studiati in relazione alle loro nuove destinazioni d’uso, come musei e spazi espositivi, cultura e istruzione, università, abitazioni e molti altri. Si tratta di quasi 50 casi di studio, che spaziano da siti molto noti come lo stabilimento Fiat del Lingotto a Torino e la sua acclamata riconversione ad opera di Renzo Piano, a complessi molto più piccoli e interventi più modesti, che tuttavia sono ugualmente interessanti in termini di qualità, e non meno interessanti dal punto di vista della loro riconversione. Ogni caso di studio presenta una breve storia del processo di riqualificazione, seguita da una descrizione critica delle trasformazioni degli edifici in riferimento al tema principale del libro.
Gli autori hanno posto l’accento sul problema dell’estetica, che raramente ha giocato un ruolo chiave nella progettazione di un edificio industriale che doveva essere durevole ed efficiente, e che è un fattore importante nell’apprezzamento del patrimonio da parte della società. Inoltre, la natura dinamica degli edifici e dei siti industriali, secondo gli autori, è un fattore chiave per l’adozione di particolari soluzioni architettoniche. Gli autori indicano che il vero valore del patrimonio industriale risiede nella rappresentazione dei processi produttivi, per cui non solo gli edifici ma anche le macchine e le altre attrezzature tecnologiche dovrebbero essere conservate, cosa che in Italia avviene raramente. Di conseguenza, per gli architetti si pone la sfida di adottare una strategia di progettazione e di storytelling, per creare non solo un edificio utile, ma anche un edificio significativo in termini di visualizzazione del suo passato industriale.
Nell’ultimo capitolo gli autori affrontano una questione di scala più ampia: il rapporto tra il riuso adattivo delle fabbriche e la rigenerazione urbana di quartieri e città. A questo scopo sono state esaminate le ex zone industriali di Torino, Milano, Venezia e Roma. Anche in questo caso, il lettore può vedere alcuni dei siti industriali precedentemente descritti, questa volta mostrati da un’angolazione diversa.
Manca il tipico capitolo conclusivo. Tuttavia, questa lacuna è colmata da un epilogo (o postfazione) di Giovanni Luigi Fontana – ex presidente dell’AIPAI, professore di architettura e grande specialista nel campo della tutela del patrimonio industriale. Inoltre, la mancanza di una sintesi tradizionale offre al lettore l’opportunità di trarre le proprie conclusioni, come indicato da Eduardo Curra nella sua prefazione.
Per quanto riguarda la struttura del libro, il confronto tra un particolare edificio “com’era” e “com’è” potrebbe essere problematico e impegnativo per i lettori, che devono scorrere avanti e indietro il contenuto di due capitoli. Sarebbe molto più facile da seguire se fosse stata fornita una guida o un indice.
Il libro è completamente bilingue (in inglese e in italiano) ed è riccamente illustrato. Gli autori hanno cercato di trovare un equilibrio tra le fotografie e le planimetrie e i diagrammi di grande impatto visivo. È sempre un compito difficile, quello di rendere i contenuti interessanti per diverse fasce di lettori. In questo caso, non solo le immagini ma anche il testo sembrano avere successo in questo senso.
Il libro è un prezioso complemento alla letteratura sul riuso adattivo, che – almeno in Europa – sta diventando una tendenza di punta nell’attività architettonica e, alla luce della necessità di ridurre l’impronta di carbonio dell’industria delle costruzioni, la sua importanza può solo aumentare. Allo stesso tempo, il progresso tecnologico fa sì che i successivi edifici industriali perdano la loro funzione originaria, per cui la pubblicazione recensita non è solo un’eccellente sintesi delle realizzazioni italiane, ma anche un materiale di riferimento per i ricercatori e una fonte di ispirazione per i progettisti che preparano ulteriori progetti di adeguamento delle fabbriche.

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