“Colpo di mare” recensito su Leggere Donna

«Ero circondata da alcuni dipinti di Flora. In essi predominavano tonalità tristi che ricordavano il mare in burrasca. A ben guardarli, i quadri possedevano una macchia vivace – una sola – a richiamare il pathos che improvvisamente irrompe in una vita e ha il potere di cambiarla.
Un nuovo quadro era stato messo sopra il divano: da una grande zucca arancione, spaccata a metà, usciva un’acqua scura che portava dei pesci. Doveva essere una delle ultime tele di Flora perché c’era scritto Carloforte accanto alla sua firma. Mi domandavo come si potesse rappresentare così il mare della Sardegna. Bastava questo dettaglio per capire lo stato emotivo di Flora in quel periodo».
Poco dopo l’inizio del primo capitolo del romanzo, troviamo questa descrizione che ci fa entrare nella casa romana della protagonista, Flora, attraverso gli occhi della co-protagonista, Elisa, che è anche voce narrante e quasi alter ego dell’amica. Flora ha vissuto in Sardegna, a Carloforte, una avventura straordinaria che le ha causato un “colpo di mare” («che non viene dall’onda violenta che ti prende, ti alza sulla sua cresta e poi ti butta giù. No. Viene dalle acque del mare che ti chiamano e ti fanno avanzare oltre la paura») e chiede ad Elisa di dare voce, narrandoli per iscritto, ai fatti e alle emozioni.
Christiana costruisce un romanzo a più voci e con molti colori, inseguendo con continui passaggi di tempo avanti e indietro le vite intrecciate di personaggi legati da rapporti di parentela, di amicizia, di semplice conoscenza.
Flora ama i colori fin da bambina; suo padre le ha insegnato a usarli e il messaggio cardine del suo insegnamento era «traccia sulla sabbia rabbie e gioie, disegna quel che succede dentro di te». Di contro la madre aveva educato Flora e sua sorella Clori al buonsenso, «niente di peggio per un artista» sostiene Flora. Le due sorelle sono diversissime: nel quadro di Botticelli La primavera (come affettuosamente il padre apostrofava Flora) in primo piano è posta la ninfa Clori, al cui nome si è ispirata la madre quando è nata la seconda figlia. Flora commenta così, ad Elisa, la relazione tra le due: «la Primavera e la Ninfa non sono mai andate d’accordo. La Ninfa era una bugiarda», mentre Clori, più avanti, così si esprime con Elisa riguardo alla sorella: «Flora era una persona difficile. Da piccola, diceva bugie e inventava storie». Come si comprende da questi brevi passaggi del romanzo, molto spazio è dato alla psiche dei personaggi. L’autrice è anche psicoterapeuta e sottolinea alcune dinamiche emozionali e psicologiche con riflessioni di natura psicanalitica: esprimendo in prima persona dubbi e risposte di Elisa lungo il procedere della scrittura, interpreta alcuni segni ed eventi e porge a chi legge un quadro via via più chiaro e delineato delle personalità. Nell’incipit descrive la sala di Flora sempre al buio, con le tapparelle abbassate e le tende pesanti; molte pagine più avanti, afferma di aver cominciato a capire che la sala sempre al buio era un’immagine della psiche di Flora e che bisognava scoprire cosa nascondesse quel buio. Anche la relazione tra le due amiche viene interpretata da Elisa con continui rimandi a se stessa: «considerare la vita di Flora significava rivisitare certi fatti vissuti da me e collegati a lei». Una possibile definizione di “innamoramento” costituisce il titolo di un capitolo del romanzo e ci avverte che «l’innamoramento ti chiede di abbandonare le strade già percorse e apre davanti a te una porta che conduce all’ignoto». Il colpo di scena contenuto negli ultimi tre capitoli, in cui la vicenda, attraverso l’escamotage di una lettera inaspettata (che richiama la tecnica narrativa del ‘manoscritto ritrovato’), si sposta in Brasile, dove facciamo la conoscenza di Maria do Mar e della figlioletta Marelita, ci permetterà di comporre il puzzle da più di mille pezzi che Christiana ci ha messo davanti a poco a poco. E, guidati dalle parole di Elisa nel momento in cui consegna a Flora la sua storia, comprenderemo pure il senso dello scrivere e del raccontare, che è il filo conduttore del romanzo: «avevo capito che chi racconta una storia non deve cercare coerenza nei suoi personaggi. La verità di una persona è più nelle sue contraddizioni che nella logica che la rende uniforme. Per essere fedele al mistero di ogni vita bisogna parlare di quello che non si riesce a spiegare».

Maria Calabrese

Leggere Donna, n° 184, 2019

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